sabato 18 aprile 2020


LA FALSA CONFESSIONE DI STEFANO MELE

Ho deciso di dedicarmi a una ricerca approfondita sulle false confessioni. Purtroppo non c’è molto materiale in italiano, pare che non ci siano studiosi di questa materia nel nostro Paese. Ma ce ne sono diversi negli Stati Uniti. Provvederò a farmi una cultura nei giorni (o mesi, o anni) a seguire.

Proviamo adesso ad analizzare il caso di Stefano Mele il quale si autoaccusa del delitto della moglie avvenuto il 22 agosto 1968 a Castelletti di Signa. 

Stefano Mele sulla Scena del crimine. Diverse false confessioni sono state confermate portando i sospettati sulle SdC. Ricordiamo che Stefano  quando venne invitato a simulare la dinamica non aveva nessun avvocato difensore al suo fianco. Stefano arrivò sulla sterrato dell'omicidio pare senza suggerimenti. Ma ricordiamo che quando nel 1985 tentarono di fargli rifare il percorso dalla SdC a casa De Felice, non replicò il tragitto. In quel caso c'era un avvocato difensore che impedì i suggerimenti che venivano dai carabinieri. Troviamo questo episodio descritto nel rapporto Torrisi.
La pistola con la quale verranno uccisi i due amanti risulterà essere la medesima utilizzata negli anni a seguire dal Mostro di Firenze.

Barbara Locci 32 anni, e Antonino Lo Bianco 29 anni
Anche le munizioni saranno dello stesso tipo, un lotto di Whincester con il simbolo H sul fondello prodotte intorno al 1966.

La Beretta Calibro .22 a canna lunga utilizzata dal Mostro.

Z accusa A
Z accusa B
Z accusa C

Da cosa potremmo stabilire che Z sta rilasciando una falsa confessione? Semplicemente dal fatto che quando Z accusa qualcuno la polizia cerca poi di suffragare questa accusa con delle indagini ulteriori.
Vediamo cosa succede.

Z inizia con l’accusare A.
La polizia si reca subito da A
A produce un alibi. 
La polizia verifica l’alibi di A tramite D
D conferma l’alibi di A.
La polizia si reca da Z e gli dice che A ha un alibi confermato anche da D.

Davanti a questa evidenza Z cambia soggetto. Adesso accusa B
Viene eseguito il guanto di paraffina sia su B che su C. Quest’ultimo non ancora accusato da Z
B risulterà negativo per il guanto di paraffina. Invece risulta fortemente positivo C.


A Z viene comunicato che B è risultato negativo al guanto di paraffina. Ma gli viene anche detto che C è risultato fortemente positivo.
Z prende nota che B è risultato negativo. Ma prende anche nota che C è risultato fortemente positivo.
Z lascia cadere l’accusa contro B e inizia ad accusa C.

In questa sede non ha importanza sapere se il vero colpevole fosse A, B oppure C. Quello che ci interessa è il coinvolgimento di Z il quale ha confessato la sua partecipazione al delitto.

Vediamo che il comportamento di Z è influenzato dalle informazioni che riceve dagli investigatori.
Quando Z apprende che A ha un alibi confermato non può continuare ad accusarlo. Il fatto che l’alibi di A potesse essere menzognero e che D gli abbia potuto procurare involontariamente una pezza d’appoggio non è rilevante ai fini della bontà delle affermazioni di Z. Quello che è rilevante è che Z abbia dato per buono l’alibi di A. Se A e Z erano coinvolti nel delitto, Z avrebbe saputo come smontare l’alibi di A. Ma questo non lo fa perché crede all'alibi di A, e ci crede perché gli investigatori ci credono. Se gli investigatori hanno commesso un errore, questo errore ha influenzato il comportamento di Z che è passato ad accusare B.

Poniamo che B sapesse come far risultare negativo la prova del guanto di paraffina. Per le dichiarazioni di Z questo non è rilevante. Z crede al risultato dell'esame del guanto perché la polizia ci crede. Ma se B è stato complice di Z nell'omicidio, Z potrà dimostrare il suo coinvolgimento anche se  B è risultato negativo alla prova. 

A questo punto Z passa ad accusare C perché C è risultato positivo a tale prova e Z questo lo sa. Ma anche C risulterà avere un alibi di ferro per cui Z rimane l’unico colpevole.

Qui però si pone un bel quesito, se Z è l’unico colpevole perché accusa prima A, poi B e infine C? Sta comunque mentendo nel coinvolgere queste persone se non c'entrano nulla. 
Allora il quesito è il seguente: o Z è l’unico colpevole o ci troviamo di fronte a una clamorosa falsa confessione o Z sta coprendo un misterioso terzo individuo.

Le false confessioni sappiamo essere pilotate dai suggerimenti degli investigatori. Questo ne sarebbe un caso lampante. A ogni suggerimento della polizia Z, come abbiamo visto, cambia il nome del suo probabile complice.

Ricordiamo che Z si dichiarerà estraneo ai fatti sia al suo processo nel 1970, sia quando il giudice Rotella lo ripescherà nel 1982, sia quando a sua insaputa verrà registrato un dialogo avvenuto in un incontro con il figlio nel gennaio 1986. 

1 commento:

  1. Eccomi qua ^_^. Intanto i miei migliori auguri per lo sforzo che invero è titanico. Intervengo subito per discutere di quanto riportato nel rapporto Torrisi circa il fatto che Mele non avrebbe saputo individuare i luoghi. Innanzitutto Torrisi sta cercando di togliere Stefano Mele da quel percorso, ma afferm in modo incontrovertibile che Natalino venne accompagnato. La descrizione di Torrisi è volutamente frettolosa e tace la vera sequenza dei fatti. Stefano Mele arrivò fino ad un certo punto e poi si fermò imbarazzato. Indicò una casa, ma non era quella. Non seppe indicare a quale casa aveva suonato il figlio e alla fine sbottò dicendo: "io qui non ci sono mai stato, mi ci avete portato voi per la prima volta". Il fatto è che aveva perfettamente ragione. Le cose andarono proprio come dice lui. E questo combacia alla perfezione col fatto che Natalino fu accompagnato molto probabilmente a piede proprio dal padre. Non sono impazzito: ora vi spiego. Bisogna leggere il rapporto di Ferrero per completare il quadro, altrimenti le informazioni sono monche. La casa del De Felice dista 2 Km dal luogo del delitto, ma Natalino viene abbandonato circa a metà percorso, quando ancora mancavano più di 800 metri. Perché lì? Perché in quel punto convergevano tre strade: una appena percorsa da padre e figlio, una che andava a casa De Felice e una che si dirigeva verso la periferia di Signa, anch'essa a 850 metri da lì. Natalino quindi andò da solo verso la luce indicatagli dal padre, incontrando lungo il cammino altre due case coloniche, ma Stefano si diresse verso Signa. Quindi Stefano non seppe mai quale fosse, fra le alternative, la casa a cui suonò il figlio. Neppure percorse quell'ultimo tratto che i CC presumevano che lui avesse percorso, ma non era così. Inoltre, nel 1985, i luoghi erano cambiati. nel punto in cui Natalino era stato lasciato, adesso si aggiungeva una quarta strada, l'attuale via del Ponte alle Palle, che nel '68 non c'era. C'erano, invece, nuovi alberi che la fiancheggiavano (si vede dalla foto satellitare dell'85) e c'era un nuovo attraversamento del Vingone che nel '68 non c''era. Anche la strada che proveniva dal luogo del delitto era meno chiara, lo è tutt'oggi. SM fu quindi condotto a riconoscere di giorno in luoghi mutati nell'aspetto che lui aveva forse visto solo di notte o che comunque ricordava in modo diverso rispetto a diciassette anni prima. Mi pare che si possa accettare il fatto che fosse disorientato. Ma la cosa che più mi conforta, è che proprio questo racconto all'apparenza contrario all'accompagnamento di Natalino, trovi spalla e conferma nel racconto che Natalino fa a Ferrero e ai dati aerofotografici dell'Istituto Geografico Militare relativi al 1985. E' proprio questo richiamo e conferma reciproca che mi fa propendere per un accompagnamento effettuato dal padre e non da altri.

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