giovedì 28 aprile 2011

Dubbi: Il caso misterioso di Melania Rea

Pare che sospetti gravino sulla figura del marito. Per la verità questi sospetti li ho avuti anche io. Innanzitutto mi è sembrato di capire che nessuno abbia visto Melania, per cui l'unica versione che abbiamo degli spostamenti della donna è quella di Salvatore. Ma poi ho scartato questa ipotesi perché i cani molecolari hanno seguito la traccia olfattiva di Melania. Dunque, lei lì è arrivata. A meno che, ho pensato, non seguivano una traccia del giorno prima. Inoltre, il proprietario del chiosco ha ricordato di averla veduta. L'altro motivo di sospetto per me era la tempestività con la quale Salvatore si era allarmato: 15 minuti dopo che Melania si è allontanata lui ha chiamato i carabinieri. Mi era sembrato un tempo troppo ristretto. Oggi invece apprendo che forse è stato sospettato per il motivo contrario, ovvero che ha aspettato troppo per allarmarsi. Quasi un'ora. In ogni caso, mi dicevo, saranno i tabulati telefonici a stabilire se il Parolisi è coinvolto o meno. La prima cosa che uno fa quando si cerca qualcuno che ritarda è cercarla sul cellulare. Se Salvatore non l'avesse fatto, l'avrebbero incastrato. Il problema che non riuscivo a risolvere era un altro: Melania non ha subito violenza sessuale. Un illustre sconosciuto, un aggressore estraneo non avrebbe mai rischiato senza avere un tornaconto di questo genere. Però, Salvatore non può essere l'assassino dato che quando Melania è morta lui era altrove. Poi però mi è venuto in mente che è stata assassinata fra la mezzanotte e le tre. Un orario strano. In ogni caso Salvatore doveva essere o in compagnia di qualcuno oppure con i carabinieri. E dove avrebbe tenuto la moglie in tutto questo tempo? A meno che non avesse avuto un complice. Ma i conti non tornano lo stesso, perché questo complice comunque avrebbe dovuto rapire in quel posto Melania. Dunque, si ritorna al punto di partenza. Ma forse esiste una possibilità diversa...
C'è la testimonianza di qualcuno che avrebbe visto una donna allontanarsi nei minuti in cui Melania scompariva. All'inizio si diceva che questa donna scappasse, per cui, lo confesso, non ho dato peso a tale testimonianza poiché ho creduto che se si fosse trattato di Melania, questo testimone non avrebbe dovuto vedere solo lei correre ma anche il suo inseguitore. In ogni caso, oltre a correre avrebbe anche gridato. Ora però si parla di una donna che camminava a passo svelto. Mi è venuto un dubbio: poteva trattarsi di una donna che si allontanava dalla scena travestita da Melania? I cani hanno sentito l'odore dei vestiti di Melania, ma mica possono dire chi li indossava! Era proprio Melania la donna vista dal gestore del chioschetto?  Oppure costei era una complice travestita che si è fatta vedere il minimo indispensabile, per poi subito sparire per andare frettolosa a recuperare la propria auto presso il monumento ai caduti? Così comincia ad avere un senso... Melania conosceva il posto, almeno così ho sentito, non poteva sbagliare strada. In ogni caso, anche Salvatore conosceva il posto, per cui avrebbe almeno lui dovuto avvisare la moglie che stava percorrendo la direzione sbagliata. Errare in due, nel medesimo momento, non mi è sembrato una cosa molto normale. A meno che non si è trattato di un errore.
Quello che non mi torna, nel caso dell'assassino predatore, è l'intervallo di tempo troppo lungo fra la scomparsa e la morte, e la mancanza di aggressione sessuale. Nell'ipotesi della messa in scena, forse tale pantomima è iniziata già a Pianoro. Naturalmente, Melania non poteva morire prima della sua scomparsa altrimenti l'alibi di Salvatore sarebbe saltato. Dunque, è morta dopo. E non può essere stato Salvatore a ucciderla
Dubitare del marito non è una cattiveria gratuita ma la base di partenza di ogni buona investigazione che si rispetti. Naturalmente, vagliato tutto, si leva dalla rosa dei sospetti. 
Staremo a vedere.

lunedì 25 aprile 2011

Un delitto pieno di misteri: il caso di Carmela Melania Rea - Prima parte: la scomparsa


Il caso di Carmela Rea, Melania per i familiari, confesso che mi mette in crisi poiché vi sono troppe anomalie, per cui non riesco a farmene un quadro. Bisogna considerare che mi baso sulle notizie di cronaca a disposizione di chiunque. Quello che cerco di fare è di cercare di selezionare quelle che mi sembrano le più attendibili. Ma l’errore è dietro ogni angolo.

I luoghi della tragedia: Folignano (comune di residenza della coppia). Colle san Marco (dove Melania scompare). Ripe di Civitella (dove viene rinvenuto il suo cadavere)

Questa terribile storia inizia con la scomparsa  di Melania alle 15:00 di lunedì 18 aprile 2011 a Pianoro di Colle San Marco, in provincia di Ascoli Piceno e si conclude due giorni dopo, ovvero mercoledì 20 aprile, con il ritrovamento del suo cadavere a Bosco delle “Casermette”, davanti al Chiosco della Pineta, a Ripe di Civitella (Teramo), sul versante abruzzese della Montagna dei Fiori. In tutto 12 km. 



Distanza fra luogo della scomparsa e quello dell'omicidio

Con il marito Salvatore Parolisi, e la figlia di 18 mesi, sono appena arrivati in uno spiazzo, una pineta, dove ci sono delle altalene.  I due sono originari di Napoli, si conosco da una vita, la loro storia d'amore è iniziata che erano ragazzi. Salvatore è un sottufficiale dell'esercito in servizio al 235/o Reggimento Piceno, addestra reclute femminili.  Abitano a Folignano, un comune di circa 9000 abitanti in provincia di Ascoli Piceno. 
Melania, ha subito una depressione post-partum, ma si è ripresa. Sembrano una coppia unita, anche se le fonti citano una relazione extraconiugale di Salvatore di qualche tempo prima.
Dunque, Lunedì 18 aprile si recano a Pianoro di Colle San Marco. Si tratta di un luogo ombreggiato, meta di gite fuoriporta. C'è uno spiazzo con un'area giochi dove si trovano alcune altalene. Un ottimo posto dove far divertire la piccola e respirare aria buona. Vi sono pochissime abitazioni. Sono le 15:00, e loro sono appena arrivati.

Lo spiazzo a Pianoro dove è iniziata la tragedia

Salvatore inizia a spingere la bambina che felice vuole giocare sull'altalena quando Melania richiede di andare alla toilette. I bagni del chioschetto che gestisce il piccolo parco non sono ritenuti da lei sufficientemente puliti per cui decide di recarsi al più vicino bar Il Cacciatore.

L'aspetto improvvisato e poco invitante dei bagni dell'aera giochi che Melania ha preferito evitare.
Il bar che avrebbe dovuto essere la meta di Melania
Salvatore si offre di accompagnarla ma la figlia recalcitra perché ha appena iniziato a divertirsi. È la stessa Melania a suggerire al marito di lasciar perdere, che sarebbe andata da sola. Salvatore acconsente e le chiede di portare due caffè, uno per sé e uno per lei.

Melania dovrebbe impiegarci pochi minuti, invece non ricompare. Salvatore comincia a preoccuparsi.  Il proprietario del chioschetto asserisce di non aver veduto Melania recarsi ai bagni, quindi, forse la donna ha preferito cercare un'altra toilette perché l'aspetto di questi piccoli locali a dire il vero è deprimente. Passano 20/30 minuti quindi Salvatore chiama i carabinieri. Nel frattempo anche i familiari si allertano. Il fratello di Melania, che si chiama Michele, cerca di contattarla. Il telefonino squilla a vuoto fino a che non viene spento.
Melania sparisce letteralmente nel nulla. Quelli del bar non l'hanno mai vista arrivare. Sul posto vengono portati i cani molecolari. E qui iniziano i primi misteri, infatti, i cani seguono un percorso del tutto anomalo, che Melania proprio non avrebbe dovuto fare. Vediamo in dettaglio.


Lo strano Percorso di Melania. In azzurro l'itinerario seguito dalla donna dalla pinetina  al bivio. Qui avrebbe dovuto risalire lungo il tratto giallo per raggiungere il bar. Invece prosegue lungo la linea azzurra e si reca verso il Monumento ai Caduti, dove i cani molecolari perdono le sue tracce. Ma il tragitto più agevole per recarsi al bar sarebbe stato quello rosa oppure quello rosso. Entrambi completamente ignorati dalla donna. 

Raggiunto il bivio Melania doveva risalire lungo la linea gialla, invece scende lungo quella azzurra recandosi verso il Monumento ai Caduti. Qui i cani molecolari si arrendono.

Cosa pensare? Qualcosa non quadra. Pianoro di Colle San Marco dista circa 8 km da Folignano, dove i due risiedono. C'erano stati altre volte? Oppure era la loro prima venuta in quel posto? La domanda non è peregrina perché ci si chiede come mai Melania sbaglia completamente tragitto. Non solo. Il marito, dalla sua posizione, a sua volta non si avvede che la donna sta sbagliando strada. Oppure impegnato a giocare con la bambina non fa caso in che direzione va sua moglie? O magari, Melania non aveva intenzione di recarsi al Cacciatore ma cercare un posto isolato fra i campi? Questo non appare possibile perché sono le tre del pomeriggio. Ma le tre dell'ora legale che corrispondono alle  due del ciclo solare. Insomma, siamo in pieno giorno. Non penso proprio che volesse appartarsi per un bisogno. I misteri dunque sono due: perché Melania sbaglia e perché il marito non la corregge? Salvatore ha confermato il percorso dei cani molecolari? Oppure ha creduto che sua moglie avrebbe fatto il percorso in rosso tratteggiato nell'immagine?
Altro mistero. Melania, nell'ipotesi fatta, ovvero invece di andare a destra si reca per errore a sn, dopo pochi metri avrebbe dovuto avvedersi che si era sbagliata. Tuttavia, prosegue per altri cento metri o più senza notare alcun bar. Giunta al bivio, compirebbe un secondo errore: scende verso il Monumento ai Caduti invece di risalire. A quel punto, al bivio, il buon senso avrebbe suggerito di tornare indietro, perché o la strada la conosci, e allora fin dall'inizio non vai a sn bensì a dx, oppure, se non la conosci, torni indietro. In sostanza, secondo il mio parere già essere arrivata sino al bivio è una bizzarria. Dunque, se ne può dedurre due cose: Melania non voleva recarsi al bar, Melania è stata costretta a proseguire oltre. Rimane comunque sempre da chiarire perché Salvatore non l'abbia fermata.
Nella prima ipotesi, ovvero che Melania non voleva recarsi al bar c'è da chiedersi dove allora era indirizzata ad andare? Aveva un appuntamento con qualcuno? L'ipotesi, che pure va fatta ed è stata fatta, non pare suffragata dalla testimonianza di Salvatore il quale ha dichiarato di non aver seguito la moglie solo perché la bambina ha reclamato che voleva continuare a giocare sull'altalena. Dunque, a condizionare gli eventi è stata una bambina di appena 18 mesi.
Allora ci rifacciamo alla seconda ipotesi, Melania è stata aggredita e costretta a salire su un auto. Se così fosse, la zona migliore sarebbe stata quel poco di rettifilo che vediamo sul percorso azzurro prima di giungere al bivio. L'aggressore avrebbe avuto una buona visuale per tenere d'occhio la strada da entrambi i lati. Ma che ci faceva un aggressore lungo quella strada? L'ipotesi più probable sarebbe quella di una persona che ha assistito al colloquio fra i due coniugi, si è accorto che la donna sbagliava direzione, si è dunque allontanato veloce, ha preso l'auto, ha raggiunto Melania e in qualche modo l'ha costretta a salire.
Contrasta con la tesi del rapimento il fatto che Melania era alta 1mt e 80. Di corporatura agile e robusta. La vedo dura costringere una donna dal fisico atletico - per di più con la figlia e il marito a pochi metri - a salire su un auto. A meno che costui (o costei, ancora non sappiamo) non fosse conosciuto dalla donna. In sostanza, questa persona ha visto la coppia ma non sarebbe stata vista da loro. 

Vi lascio con queste riflessioni poiché al momento sono troppo stanco e non ho abbastanza lucidità per proseguire in un'analisi dettagliata di questo caso criminale così anomalo, misterioso e inquietante.

domenica 17 aprile 2011

Sepolta viva: la storia di Jennifer Zacconi






NON SECONDO I CALCOLI

Che differenza c’è fra i calcoli matematici e quelli renali? Perché si chiamano allo stesso modo? Strano che delle pietruzze che si formano nei reni o nella cistifellea abbiano lo stesso nome di un’operazione numerica. Delle concrezioni paragonate a delle astrazioni. Non ci potrebbe essere niente di più lontano. Eppure nulla di più vicino. Perché se fai un progetto basandoti sul calcolo matematico giungi a un risultato, dunque dall’astrazione arrivi al concreto. Se invece progetti qualcosa basandoti sui calcoli renali… allora son dolori…  per te ma soprattutto per la tua vittima.

I luoghi dove si sono svolti i fatti
Lucio Niero era uno che non sapeva fare i calcoli, agiva di istinto, viveva momento per momento, improvvisava. Però si credeva un grande. Lui era il migliore. Lui era un furbo. Sapeva come trattare le donne, come affascinarle, affabularle, infinocchiarle. Un viveur, un tombeur de famme. Credeva di essere al di sopra delle leggi, delle consuetudini. Credeva un mucchio di cose. Aveva una grande stima di sé. Oh, oh! Bella la vita per Lucio Niero. Molto bella.
Avete presente Alberto Sordi ne Il seduttore? Non l’avete presente? Beh, se volete conoscere la vera natura di Lucio Niero non potete non vedere questo film. In esso Sordi è un bonaccione, un pasticcione: fa il conquistatore, intreccia varie storie, ma è sposato. Ed ha una fottuta paura della moglie.
Anche Lucio Niero è un pasticcione ed ha una fottuta paura della moglie ma non è affatto un bonaccione.
Jennifer Zacconi è figlia e nipote di maghe. Ma devono essere maghe di mezza tacca, di quelle che non conoscono bene la materia perché altrimenti avrebbero saputo come avvertire e mettere in guardia la ragazza.

Lucio Niero e Jennifer Zacconi
I due futuri protagonisti di uno dei più crudeli omicidi che le cronache recenti narrino si incontrano nel locale Affinity, di lui, di Lucio; siamo nel nord Italia, a Olmo di Montellago. A Jennifer piace il karaoke, a Lucio piace Jennifer. La incanta, la raggira, la ammalia. La fa sua. Per chi lo conosce è un vero figlio di puttana. È sposato, ha dei figli ma non per questo Jennifer si tira indietro. Sapete come funziona, vero? Il registro è sempre il medesimo, le scuse sono sempre le stesse, le parole sono sempre quelle: “Sì è vero, sono sposato ma il mio matrimonio è oramai alla fine. Sto per divorziare. Ma i figli, sai com’è. Ma lo farò. Per te lo farò. Subito.” 
Lucio è ancora più sfrontato, arriva a dire che è separato in casa, vive sotto lo stesso tetto della moglie ma non dormono insieme. Una balla colossale. Ma è bravo il nostro Lucio a raccontar balle, e Jennifer è troppo ingenua per capire un furbo di tre cotte come lui, senza considerare che Niero ha 40 anni e Jennifer solo 19.
I due quindi si mettono insieme.
In realtà la moglie di Lucio non sa un bel nulla, non sospetta un bel nulla. E lui non ha alcuna intenzione di lasciarla per Jennifer. Non ci pensa affatto. Vuole continuare il gioco con quella romantica e sprovveduta ragazzina.
La riempie di regali e attenzioni; la fa ridere; la coccola; la porta a Venezia. Pensa a lei, solo a lei, nient’altro che a lei.
Si fidanzano ufficialmente. Proprio come vorrebbe fare Albero Sordi nel film descritto. Ai genitori di Jennifer il tipo piace. Sa raccontare belle storie, è simpatico, sorridente. La madre di Lucio Niero lo trova perfetto per la figlia. Ripeto, come preveggente è una vera frana.
Lui frequenta la casa di Jennifer come se fosse un vero fidanzato. La madre di Jennifer finisce per accettarlo anche perché sua figlia ne è innamoratissima. Il tipo riesce a entrare talmente nelle grazie della famiglia Zacconi che quando la signora Anna Maria Giannone, questo il nome della madre di Jennifer, si trova in difficoltà arriva a chiedergli un prestito. Ma Lucio ha una famiglia da mantenere, figurati se può permettersi il lusso di prestare soldi a chicchessia. Così ha la brillante idea di presentarle un tipo ben disposto a fare tale prestito. Un cravattaro, ovvero un usuraio. Sarà l’incubo della signora Giannone. E anche di Lucio, poiché un bel giorno l'usuraio si presenta nel suo locale e lo minaccia mettendogli le mani addosso davanti a Jennifer. Facendo un errore clamoroso, perché la Giannone sarà anche una pessima maga, ma toccale la figlia e vedrai che ti succede. Va dritto dritto alla polizia a denunciare il tipo. Se Lucio fosse stata una persona più assennata avrebbe dovuto capire con chi stava per avere a che fare.
Ecco vedete, quando succedono certe cose di conseguenza ne accadono altre. Per esempio, se fai sesso con una donna, e tu sei un uomo, e siete tutte e due fertili, può accadere, anzi il più delle volte accade, che lei rimane incinta. Ed è proprio quello che accade a Jennifer. Lucio avrebbe dovuto sapere che le cose vanno così. Doveva metterlo nel conto. Oppure, quello che non aveva previsto era un’altra cosa: che Jennifer non avrebbe mai consentito ad abortire.
Quanto Lucio viene a sapere che la sua “ragazza” è incinta, non fa i salti di gioia. Non si sente ammantato dalla felicità perché sta diventato nuovamente papà. Anzi, ne è terrorizzato. Ora sì che la moglie potrebbe scoprire tutto e mandarlo a quel paese. Allora si prodiga in tutti i modi per convincere Jennifer ad abortire. Ma la ragazza proprio non vuole. Anzi, gli chiede di fare il suo dovere, di riconoscere il figlio che sta per nascere. Si può essere più ingenue? Come no! Lucio Niero ha proprio la tempra morale per un simile gesto!
Jennifer va avanti, è felice di avere un figlio anche se questo figlio non avrà mai un padre. Compra i vestitini, li stira, li mette da parte per quando nascerà. Avrà anche un nome, un bel nome, scelto solo da lei ovviamente. Il bimbo si chiamerà Hevan.
Jennifer ha una grande fortuna: i suoi genitori. Si sono separati in realtà, ma quando li informa che aspetta un figlio… essi non vanno in escandescenza, non si strappano i capelli, non si cospargono il capo di cenere. Accettano la decisione della figlia. Se la Giannone ha dimostrato che come indovina non era poi tutto questo granché, come madre però è stata superlativa.  Lucio Niero si è disinteressato della gravidanza di Jennifer. Non ne vuole proprio sentir parlare. Bene. Jennifer va avanti comunque. Passano i mesi, il terzo, il quarto, anche il quinto. E poi il sesto, il settimo, e anche l’ottavo. Fino ad arrivare al nono. Fino ad arrivare a pochi giorni dalla nascita. Fino ad arrivare al 29 aprile 2006. Un sabato. Un sabato niente affatto primaverile. Un temporale si abbatte su Olmo di Montellago. È proprio il caso di dire che era una notte buia  e tempestosa.
Jennifer vorrebbe uscire, nonostante tutto, ma le amiche non se la sentono di affrontare quello scrosciare battente. Così è rassegnata a rimanere a casa quando verso le 20:30 le arriva un messaggio sul telefonino. Rimane sorpresa: è Lucio. Le chiede di vederla. Jennifer ha la speranza che forse lui abbia cambiato idea. Informa la madre della cosa. Anna Maria a sua volta si meraviglia che Lucio ancora cerchi sua figlia. Ma se è il caso di chiarirsi, e Jennifer vuole andare, che vada pure.
Il tempo trascorre, la Giannone cena, rassetta, guarda la tv. A mezzanotte giunge una telefonata. Un uomo dall’altra parte chiede di Valentina. Lei risponde che non è Valentina bensì Anna.
“Scusa” fa l’uomo dall’altro capo del telefono. “Sono Lucio, cercavo Jennifer.”
“Jennifer?” esclama la Giannone. “Ma se è uscita con te?”.
“Sì, doveva uscire con me, ma ho fatto tardi e lei forse è andata via. Comunque non ti preoccupare vedrai sarà da qualche amica.”
Altro che non preoccuparsi. Anna Maria si preoccupa e come. E così inizia a chiamare tutti gli amici di Jennifer. Ma senza esito. A un certo punto le arriva un messaggio della figlia. Ma è uno strano messaggio che invece di rassicurarla la allarma ancora di più.
«Mamma siamo appena arrivate a Nova Gorica al casinò, non preoccuparti sono in ottima compagnia di una futura mamma e di suo fratello, se saremo stanche ci fermiamo a casa sua a Parenzo, torno al max lunedì. Sono stanca di essere presa in giro da Lucio, adesso seguo l'istinto e non più il cuore».
Al casinò? In Slovenia? Di notte? Così, all’improvviso? Con gente appena conosciuta? Senza soldi? Avendo un appuntamento con Lucio? Incita di nove mesi?
Per Anna Maria quello è il messaggio più inquietante, ambiguo e angosciante che abbia mai ricevuto. Inoltre, lo stile non è quello di Jenniferl E così chiama i carabinieri.
Jennifer non torna quella sera. E neanche la mattina dopo. I carabinieri la cercano ovunque, anche nel lago. Ma di lei nessuna traccia. Lucio chiama tutti i giorni Anna Maria per rassicurarla, per dirle che sta facendo il possibile per rintracciarla. Il timore terribile è che Jennifer sia stata rapita. Da zingari, forse, che volevano il figlio che sta per nascere.
Ma i carabinieri non vanno in Slovenia. Cercano nei dintorni del paese. Non sanno dove sia Jennifer ma i loro sospetti si concentrano su Lucio Nieri. Si recano sul luogo dove avrebbero dovuto avere l’appuntamento, una stradina presso il campo sportivo. In genere Lucio andava a prendere Jennifer sotto casa, quella sera però ha preferito incontrarla in un posto buio e isolato. Come mai?
Nel frattempo Lucio appare del tutto normale, accompagna i figli a scuola, va a lavorare, torna a casa.
Dove diavolo è finita Jennifer? Se è stato lui, dove ha nascosto il suo cadavere? Perché di una cosa gli investigatori sono sicuri: se il responsabile di questa sparizione è Lucio Niero, Jennifer è stata uccisa. Una donna al nono mese di gravidanza non sparisce nel nulla e non va certo a giocare al casinò. Però, a volte, le apparenze possono ingannare: e se lui davvero non ne sapesse nulla? Ad ogni buon conto non lo mollano.
Anna Maria crede a Lucio, lo sente veramente preoccupato quando telefona, ma l’altra sua figlia, Angela, è convinta che Lucio invece abbia fatto qualcosa a sua sorella: le sembra un uomo viscido, ambiguo, sfuggente. Sono solo cattive impressioni basate sull’antipatia? Tutto punta su Lucio Niero ma la verità è da tutt’altra parte? Può essere. Lucio continua ad apparire tranquillo. Nulla è cambiato nella sua vita.
La polizia lo ha interrogato, lui ha dato la sua versione dei fatti. I giornali si occupano del caso ed è così che la moglie di Lucio viene a sapere che Jennifer era incinta di suo marito: come qualsiasi altra persona che guarda la tv, ascolta la radio o legge i giornali. Quante spiegazioni avrà dato Lucio a sua moglie? Cosa le avrà raccontato? Ma queste, in fondo sono quisquilie. La faccenda vera è: che fine ha fatto Jennifer?
La polizia la cerca ovunque ma non riesce a trovarla. Forse davvero se ne è andata in Slovenia. Già… ma perché non si sarebbe più fatta viva?
Finalmente arrivano i tabulati del telefonino di Jennifer, adesso diventa più facile capire cosa è accaduto quella misteriosa notte. Gli investigatori osservano tutti quei fogli… e le cose si chiariscono.
Nel frattempo mistero si aggiunge a mistero: anche Lucio Niero sparisce. Non si sa che fine abbia fatto. Forse avevano progettato una fuga insieme? Gli investigatori non ne sono affatto convinti. Due giorni dopo la sua improvvisa scomparsa, la moglie riceve una telefonata: è Lucio. Vuole parlarle, sta per lasciare l’Italia. Ma prima ha bisogna di parlare con lei. Alla stazione di Milano. La moglie ascolta. Riattacca. Pensa, riflette. Poi guarda i carabinieri che sono lì, che hanno ascoltato tutto, che erano nella stanza con lei. E cede il testimone a loro.
Dai tabulati era emerso infatti che il telefonino di Jennifer non si era mai spostato dalla zona di Maerne. Non solo, anche quello di Lucio Niero veniva agganciato dalla medesima cella. Conclusione, i due erano insieme al momento della scomparsa della ragazza. Ma di questo, gli investigatori non avevano mai dubitato.
Alla stazione di Milano, sdraiato su una panchina, Lucio attende. Chissà quali sono i suoi progetti. La sua vita ha preso una strana svolta. Dove vorrà mai andare? E Jennifer dove sarà? Quando vede i carabinieri in divisa non fugge. Si lascia portare via. Guarda i treni che vanno, che portano la gente in luoghi lontani. Osserva quei volti sconosciuti che dai finestrini salutano altri volti sconosciuti. Lui non saluterà più nessuno. Non andrà da nessuna parte. Il suo sogno di diventare anche lui un viso come tanti si infrange nelle prime pagine dei giornali che parlano del suo arresto. Avrà tutto Lucio Niero, tranne quello a cui aveva sempre aspirato: l’anonimato, appunto.
In caserma Lucio dà la sua solita versione dei fatti, poi un’altra dove asserisce che sì ha visto Jennifer ma poi sono arrivati tre ragazzi slavi e l’hanno portata via. Lui si è limitato a buttare in un cassonetto la maglia e la borsetta di lei. Gli investigatori fanno le facce perplesse: già sospettavano che Jennifer avesse fatto una brutta fine ma ora, dopo queste parole, ne hanno la conferma. Quale persona al mondo assiste al rapimento della propria fidanzata o amante e invece di avvisare la polizia ne fa sparire le tracce aiutando così i suoi stessi rapitori? Andiamo Lucio, racconta la verità hai buttato questi oggetti perché TU hai ucciso Jennifer. Lucio nega, nega. Ma loro: TU, sei stato TU! Non è vero non è vero!!! TU sei stato TU! Sono stati gli slavi! No, sei stato TU. Alla fine Lucio sbotta: Mi avete rotto le scatole, va bene, lo confesso, l’ho strangolata!
Strangolata? No, Jennifer non è stata strangolata. È stata anche strangolata! Jennifer è morta tante volte quella sera. È morta quando il padre di suo figlio l’ha presa a calci nella pancia! È morta quando l’uomo che amava l’ha trascinata in un fosso. È morta quando le mani che tante volte l’hanno accarezzata hanno cercato di strangolarla con una corda. È  morta quando la persona che per lei aveva avuto mille attenzioni le ha premuto il volto nel fango fino a fratturarle il setto nasale. È morta quando costui con i suoi 90 kg!!! le è saltata sulla schiena spezzandole la spina dorsale. È morta quando l’ha coperta di sterpi e se ne è andato via. È morta, infine, inalando l’acqua sporca, deglutendo il terriccio, aspirando la fanghiglia. È morta paralizzata. Impotente. Con le contrazioni provocate dalle percosse. Si tratta di tortura, di omicidio efferato, premeditato e crudele.
Ops.. ho detto premeditato? Non per la Giusitizia che gli ha inflitto 30 anni proprio togliendoli l’aggravante della premeditazione e aggiungendo l’incapacità di intendere e volere al momento del fatto. La sentenza ha scandalizzato l’opinione pubblica. Ma di perplessità ce ne sono state diverse in questa vicenda.

La buca dove Jennifer è stata sepolta viva
 
Il dibattito si è incentrato sul fatto che il Niero non è stato accusato di duplice omicidio poiché un feto, anche se di nove mesi, anche se è a pochi giorni dalla nascita, non ha status giuridico proprio perché non è ancora nato. Quindi, gli è stato contestato il procurato aborto e non l’omicidio.
In risposta a questo, la signora Anna Maria Giannone ha fatto pubblicare una foto del piccolo Hevan giusto per dimostrare che secondo lei si trattava di un bimbo perfettamente formato. In prima pagina il Gazzettino dunque pubblica la foto del feto morto, con un vestitino addosso tanto da sembrare un bimbo che dorme. Mille e mille critiche sono state mosse sia alla Giannone che al Gazzettino, dissensi sono venuti dai vari Ordini dei Giornalisti. In effetti, la foto fa un certo orrore, ma solo perché sai che quello che vedi è un feto morto, assassinato, anche se questo termine non potrebbe tecnicamente essere usato non essendo Hevan mai nato.

Hevan

Il punto di vista della Giannone è più che condivisibile, ella voleva procurare il massimo danno all’assassino di sua figlia… e datele torto! Inoltre, la foto effettivamente fa riflettere se la Legge non andrebbe modificata poiché Hevan sarebbe sicuramente nato, anche se fino all’ultimo in una gravidanza non si può mai dire. E forse su questo dubbio che la Legge si inceppa. In ogni caso, analizziamo le fasi dell’omicidio.

La versione di LUCIO NIERO

L'arresto di Lucio Niero

Aveva dato appuntamento a Jennifer presso una stradina deserta vicino al campo sportivo. Ricordiamoci che piove a dirotto! Jennifer, reputando che forse Lucio potrebbe aver cambiato idea, accetta l’appuntamento ed esce. Il Niero non ha la sua solita auto, una Golf, bensì una Ford Focus. La sua auto è momentaneamente parcheggiata presso un distributore di benzina a Maerne, a pochi chilometri da Olmo. Siamo sempre nel comune di Martellago. Mi manca un passaggio per cui non saprei essere preciso, ovvero come Jennifer sia giunta all’appuntamento e come i due si siano poi ritrovati a Maerne, presso la stazione di servizio dove Niero aveva lasciato la sua Golf per la riparazione. Possibile che Jennifer sia andata a piedi all’appuntamento? Forse abitava vicinissimo al campo sportivo? Altrimenti, se fosse andata in auto, immagino che la vettura doveva essere rimasta presso il campo sportivo. Oppure al distributore, se si fossero spostati con la macchina di lei. Ma se così fosse stato, in entrambi i casi, Lucio sarebbe stato smascherato subito. Presumo che Jennifer non avesse proprio la patente. Pregherei chi conosce meglio i fatti di colmare queste lacune.
In ogni caso, i due si ritrovano al distributore di benzina. Dietro la piazzola c’è un campo dove di recente sono stati estirpati alcuni alberi di magnolia, lasciando nel terreno delle buche.
Magnolia: estirpare un albero di questi lascia enormi buche nel terreno

Secondo quando afferma il Niero, i due in macchina avrebbero iniziato a litigare, giunti al distributore lui non ci ha visto più, ha cominciato a picchiarla; Jennifer allora sarebbe scesa allontanandosi verso il campo di magnolie. Lui l’avrebbe seguita, sarebbero scivolati in una buca, dove lui, ancora furente, avrebbe continuato a picchiarla, poi trovata una cordicina, l’avrebbe usata per strangolarla. All’improvviso, i fari di un auto lo avrebbero distratto quindi avrebbe lasciato la corda. Tuttavia, furibondo ha continuato nella sua azione omicida. Poi, credendo di aver ucciso Jennifer, ha tentato di occultare il corpo. Quindi ha iniziato l’opera di depistaggio.
Bisogna dire che si tratta di un uomo proprio destinato all’omicidio contro la sua volontà: la ragazza è finita casualmente in una buca, fortunosamente ha trovato una corda proprio in quella buca, sotto la pioggia, al buio! Già il fatto che sia andato con un auto diversa dalla propria fa propendere che avesse voluto ingannare eventuali testimoni che vedendo Jennifer salire su una Ford, narrando il fatto, avrebbero allontanato l’attenzione da lui che invece possedeva una Golf. Inoltre, se i fari di un auto di passaggio l'avevano per un attimo distolto dall'azione dello strangolamento come mai non lo hanno distolto definitivamente dall'azione omicidiaria? Poi appare del tutto inverosimile che una donna incinta di nove mesi possa fare un percorso così tortuoso. Invece è fuggita proprio in direzione delle buche, neppure della strada, e correva talmente tanto che lui pur essendo un uomo alto e ben piazzato non è riuscita a raggiungerla! La verità è che il Niero ce l’ha trascinata in quella buca a viva forza, perché non avrebbe rischiato di essere visto nella piazzola. Lì l’ha riempita di calci, pugni, ha cercato di strangolarla e via dicendo.
Un uomo stupido! Un cretino! Come poteva pensare di farla franca facendo scomparire Jennifer? Non aveva messo nel conto che comunque lui sarebbe stato trascinato nella vicenda e la cosa si sarebbe venuta lo stesso a sapere, giungendo dunque anche alle orecchie della moglie? Probabilmente aveva un piano B per l’occorrenza, forse avrebbe inventato chissà quale scusa. Tanto a dire bugie era bravo. Già, ma con le ragazzine! Occultare un omicidio con delle stupide bugie è tutta un’altra cosa. Infatti, il suo piano idiota è durato pochi giorni.
Ma voglio anche arrivare a dare credito alle sue parole, cioè che non ci fosse alcuna premeditazione. Forse la cosa è meno grave? Siccome non ha premeditato l’omicidio è in qualche modo meno colpevole nel aver massacrato una povera ragazza che era la metà di lui, che di lui si fidava poiché portava in grembo suo figlio? Anche se la rabbia era immensa, giustifica ciò saltare a piedi uniti sulla schiena di una donna fino a spezzarle la spina dorsale? Soprattutto se questa donna è incinta? Soprattutto se è incinta proprio di suo figlio? Nulla può giustificare tutto questo! L’ergastolo era la giusta condanna da comminare. Anche perché artefice di tutta la storia è stato lui, Lucio Niero. Lui ha cercato Jennifer, lui l’ha ingannata con le sue bugie, lui l’ha messa incinta. Tuttavia, il rito abbreviato sostituisce l’ergastolo con 30 anni. Per cui, non si poteva fare altrimenti. Ma le cose sono cambiate, per cui per le pene che prevedono l’ergastolo non si può più usufruire del rito abbreviato. Personalmente sono d’accordo, anche se l’ergastolo è una pena durissima paragonabile per certi versi alla pena capitale. Ma un discorso a parte faremo un giorno sulle pene e il carcere.

Perché Lucio Niero ha ucciso Jennifer Zacconi? Perché con tanta crudeltà?
Teoricamente non aveva nessun motivo per farlo dato che si era disinteressato di quel figlio che doveva nascere. Ma più il tempo passava e più le sue paure aumentavano. Magari immaginava che Jennifer sarebbe tornata alla carica, prima o poi. Oppure che quel figlio crescendo un giorno l'avrebbe cercato. Devono essere stati momenti da incubo per lui, tanto da spingerlo a trovare una soluzione. L'unica era quella di procurare un aborto a Jennifer oppure di ucciderla. Il fatto che abbia portato con sé una corda dimostra la premeditazione, la volontà di farla fuori. Ma uccidere al Niero non basta più. E' arrabbiato con quella ingrata che pensa solo a se stessa. Vuole punirla in qualche modo. Ecco perché la prende a pugni e a calci. Quale dolore può provare una persona quando gli arriva un calcio sulla pancia? E se questa persona è una donna incinta oltre al dolore deve provare anche un ulteriore terrore. Il fatto che Lucio fosse uno del quale tutto sommato Jennifer si fidava doveva essere considerato un aggravante perché lei non ha attuato nessun tipo di difesa, non si è portato dietro nessuno all'incontro. Lucio Niero non era un criminale incallito, per cui non sapeva uccidere. Quindi quando la corda non ha funzionato, secondo me perché scivolava sulla pelle imbrattata di fango, allora ha pensato che frantumarla come se fosse un giocattolo saltandole addosso fosse la soluzione migliore in quel momento. Totale disumanità da parte di quest'uomo! Unico obbiettivo il proprio interesse, a qualsiasi scopo, a qualsiasi costo. Jennifer alla fine è morta perché non ha potuto rialzarsi, oltre ad avere ematomi e dolori ovunque, forse anche le contrazioni, la schiena rotta, le gravava anche tutta la sterpaglia  e i rami di magnolia che il Niero le aveva tirato addosso per occultarla. Jennifer è morta in piena coscienza! Torturata! Non esiste altro termine.
Se Niero fosse riuscito a scappare dove sarebbe andato? Se fosse riuscito a far perdere le sue tracce avrebbe commesso altri delitti? Insomma, anche se non aveva mai ucciso prima aveva comunque una mentalità criminale? Di sicuro la condotta avuta sia con la moglie che con Jennifer basata sulla menzogna non lo etichettano certo come un galantuomo. E in ogni caso mi rifiuto di credere che chiunque di noi, magari trovandosi nelle sue medesime circostanze, con i suoi stessi problemi, avrebbe avuto un comportamento altrettanto violento e crudele. Se così fosse sarebbe quasi giustificato e gli omicidi   sarebbero cento volte di più. Per fortuna, la realtà ci dimostra il contrario. 



PS: Calcolo viene da calculus, ovvero piccola pietra. Ecco perché i calcoli renali hanno questo nome. A sua volta calcolare vuol dire contare le pietruzze, poiché così si aiutavano gli antichi per far di conto. Se Niero avesse usato la testa Jennifer non sarebbe morta e lui non sarebbe in galera. Ma Niero la testa non sapeva proprio usarla.
Jennifer Zacconi




domenica 3 aprile 2011

Metti una sera a Roma: una conversazione notturna sul delitto dell'Olgiata

Villa del Delitto all'Olgiata (Roma)


Amo Roma. Ci torno ogni volta che posso. Mi sembra che nessuno possa essere infelice a Roma. Quando la sera  mi sposto in autobus e con lo sguardo vago sui palazzi cerco di immaginare cosa accade  in quegli appartamenti. Mi piacerebbe entrare in quelle case. Sapere cosa fanno. Curiosare la loro vita. La sensazione è sempre quella di un grande armonia. Qualunque problema possano avere… beh, comunque vivono a Roma. Sulla metropolitana scorgo sovente un certo tipo di persona: giacca e cravatta e l’immancabile borsa di cuoio. Un ragioniere, presumo ogni qual volta. Me lo figuro in qualche ufficio male illuminato del centro, chino sui suoi conti. Eppure, mi dico, quando esce magari si ritrova in Piazza san Silvestro, e da lì si sposta su via del Corso, ha di fronte la colonna aureliana. Qualunque sia stata la sua incazzatura sul lavoro, poi però, ogni sera ha questo bellissimo abbraccio con Roma.
Mi rendo conto che le mie sono sensazioni fallaci. So benissimo che quella gente non è al colmo della felicità. Però una cosa è essere tristi in qualsiasi altra città, una cosa è esserlo a Roma. Così mi ripeto. So di sbagliarmi ma la sensazione è troppo gradevole e lascio che abbia il sopravvento sul senso critico.


Comunque, ho la fortuna di essere ospitato da mio cugino Raffaele. Lui e la moglie Anna sono persone alle quali sono molto affezionato. E molto grato, anche. Non mi offrono solo un letto in una bella stanza tutta mia, ma anche delle ottime cene. Anna è una cuoca perfetta. Con Raffaele qualche volta ce ne andiamo a prendere un caffè in Piazza Venezia, mi piace starmene seduto a guardare l’Altare della Patria. Un monumento molto criticato da Giordano. Per lui il Mausoleo è brutto ma pensa anche che oramai è ben armonizzato nel contesto architettonico della città. È brutto ma non ne farebbe a meno. Invece per me è bello. Mi ricorda il senso di meraviglia che mi fece la prima volta che lo vidi. Ero un bambino, appassionato di storia romana. Quell’immenso edificio bianco mi sembrò un grande tempio dell’antica Roma.  Ecco, ecco cosa è Roma per me ogni volta che ci vado, un ritorno all’infanzia. Sono un bambino a Roma. E Roma è come una mamma per me.
Giordano… il mio amico di infanzia. Il mio amico di sempre. Un uomo di una intelligenza rara, di una cultura sterminata. Un poeta, uno scrittore. Uno al quale ho insegnato a giocare a scacchi. Non vinceva una partita. Poi da un momento all’altro è cresciuto, è diventato un giocatore scaltro. Ora è imbattibile per me.
La sera di giovedì 31 marzo, eravamo a cena da sua sorella Graziella. Ancora una volta quella sensazione, Graziella abita con la figlia, la crisi  l’ha prostrata. Ma io riesco a percepire solo la piacevolezza del suo essere a Roma. Il suo sarà anche un appartamento ordinario ma è immerso in questo grande parco architettonico che si chiama Roma, in questa città di una storia unica e irripetibile.
La serata è gradevole. Si chiacchiera del più e del meno. Si rimembrano i bei tempi che furono. Poi riaccompagno Giordano a casa.
Mi dice che segue il mio blog. Mi chiede cosa ne penso del delitto dell’Olgiata. Rispondo in una maniera che lo sorprende. Lo sorprende negativamente. E ha ragione.
La traccia del Dna che ha portato all’incriminazione del Filippino Manuel Winston Reves era una notizia di  appena un paio di giorni. Dissi a Giordano che se il filippino era veramente  colpevole, avrebbe confessato, perché davanti a una prova così schiacciante non poteva fare altro. Però, e qui provocai il suo risentimento, credevo poco alla verità su quella traccia. Insomma, insinuai che fosse stata costruita da arte. Gli dissi che mi sembrava strano che dopo via Poma un altro delitto misterioso fosse stato risolto con la prova del DNA. Non riuscivo a capire come Winston aveva perso solo una singola, minuscola, microscopica macchia i sangue. Giordano mi bloccò dicendomi che stavo inquinando il ragionamento partendo da un presupposto del tutto arbitrario e privo di fondamento. Non potevo rispondere ipotizzando acriticamente che la polizia giudiziaria stava barando.
Aveva ragione. Mi chiese qual era la mia tesi per arrivare a una simile conclusione. Risposi che non riuscivo a piazzare Winston sulla scena del crimine. Non avevo mai creduto che a uccidere fosse un ladro. L’Olgiata è una piazzaforte, non si può entrare senza essere visti in qualche modo. Per me l’assassino era da cercare nelle persone presenti quella mattina nella villa. Per me l’assassino doveva essere una donna. Un ragionamento che i fatti hanno dimostrato errato. Ma forse la dinamica da me ricostruita non era sbagliata.


RICOSTRUZIONE PERSONALE DELL'OMICIDIO
La contessa Alberiga Filo Della Torre venne uccisa la mattina del 10 luglio 1991. Secondo il medico legale, la donna venne colpita alla volto da uno zoccolo di legno da lei stesso indossato. Quindi vi fu un tentativo di strangolamento tramite un lenzuolo e infine lo strozzamento con due dita della mano. Al momento dell’aggressione la contessa era in pigiama, un pantaloncino corto.
Dunque, quando la donna è stata aggredita era in abiti intimi. Siccome mi sembrava certo che la contessa conoscesse il suo assassino, ho pensato che non avrebbe ricevuto un uomo in quella tenuta ma solo una donna. Le due dovevano aver avuto un alterco. Dopodiché la contessa l’aveva licenziata bruscamente invitandola a uscire. Quindi si era girata per recarsi a letto, aveva tolto gli zoccoli per sdraiarsi ma si era accorta che la sua interlocutrice non era uscita dalla stanza, anzi l’aveva seguita. Così si era rigirata. Nel giro di pochi momenti il suo aggressore prende lo zoccolo da terra, glielo sbatte sul viso con violenza tramortendola, però non l’uccide. A quel punto è presa dal panico. Teme di venire denunciata. La contessa è una donna potente, per lei non c’è scampo. Quindi non ha altra alternativa che ucciderla. Ci prova dapprima con un lenzuolo (lo stesso che verrà trovato al collo della donna e sul quale verrà rinvenuto il DNA di Winston). Forse la donna riprende conoscenza, ma è sopraffatta, non può reagire. La sua assassina non riesce a finirla con il lenzuolo e allora prova a strozzarla.  Quando è tutto finito, cancella le tracce come meglio può. Afferra dei gioielli per simulare una rapina andata male, chiude, si porta via la chiave e cerca di occultare gli oggetti.
La debolezza di questa ricostruzione l’avevo individuata da solo. Se l’assassino era all’interno della casa che fine hanno fatto la chiave e i gioielli? Dovevano essere ritrovati nell’abitazione. Però, per me erano punti forti due presupposti: la contessa conosceva l’assassino, l’assassino conosceva la casa.
Winston racconterà come sono andate le cose. Come ha fatto a entrare, cosa cercava. Possibile che Alberica l’abbia visto, non abbia urlato, non l’abbia cacciato di casa ma si sia messa a parlare con lui? O forse Winston era entrato non per andare nella stanza della contessa, bensì in altre camere? Poi ha visto che Alberica usciva e si è infilato nella stanza. Forse per rubare. Ma è tornata prima che Winston potesse uscire. A questo punto il filippino si è trovato perduto, perché è rimasto chiuso nella stanza con la contessa. Allora, forse ha cercato di sopraffarla senza farsi vedere avanzando quatto dietro di lei. Non con l’intenzione di ucciderla ma solo renderla inoffensiva. Ma lei sente una presenza, si gira, allora lui rapido afferra lo zoccolo e lo usa. Ormai lo ha visto, e le conseguenze sono fatali per la donna.
Ma vista così poteva essere Winston come qualunque altro. Invece per me, la contessa ha girato le spalle al proprio assassino dopo averci parlato. Convinto di questo ho supposto una donna. Perché Alerica, ripeto, era in short.
Ecco perché non riuscivo a collocare Winston sulla scena del crimine, perché per me in quella stanza c'era una persona conosciuta dalla contessa.
Giordano, assoggettando il ragionamento, mi ha chiesto se Winston poteva essere presente perché "intimo" di Alberica. Insomma, se poteva essere un amante. L'ho escluso. Non c'è nulla che confermi una simile ipotesi.
Forse Winston quando ha parlato con la contessa, questa indossava la vestaglia. Nello girarsi, ha dato per scontato che i  filippino fosse uscito. Invece lui è rimasto rancoroso e vendicativo. Alberica si toglie la vestaglia, gli zoccoli, nel campo visivo dell'assassino gli zoccoli sono la prima cosa che vede e la utilizza come arma.
Insomma, la dinamica per me è questa. Solo che non si trattava di una donna.
Rimane da capire cosa ci faceva Winston nella villa. Voleva parlare con la contessa? E questa vedendolo in casa non avrebbe avuto nessuna reazione? Difficile crederlo,
Però, non avevo sbagliato del tutto considerando che un perfetto estraneo non poteva accedere nella villa. Winston, se ho ben capito, lavorava nel comprensorio dell’Olgiata, quindi poteva avere accesso alla villa.  Come ha fatto a entrare senza essere visto è una cosa che va chiarita.
Ho scritto queste righe di fretta. Di ritorno da Roma. Non so quali novità ci siano sul caso, tranne che Winston ha confessato. Ma ignoro, al momento, la sua ricostruzione della dinamica omicidiaria.
Il filippino era stato però già stato messo sotto inchiesta nel 1991. Cosa non ha funzionato? Perché non è stato incastrato allora?
Sento il dovere di chiedere scusa per aver dubitato ai Carabinieri del Ris. Non ci si deve innamorare della propria tesi andando anche contro l'evidenza. Questa è la lezione di oggi.                                            

Windows that kill: finestre che uccidono. Il Male Elementale.



Non potevano avere cognomi peggiori: lui Domenico Serva, lei Giselda Fallito. Certo sarebbe stato più esatto se i cognomi fossero stati abbinati al sesso. Comunque sia, fra una Serva e un Fallito, anzi fra un Serva e una Fallito, le cose non potevano funzionare. Non avrebbero mai funzionato. Infatti, non funzionarono. 
Lui, Domenico, quell'afoso mattino del 7 agosto del 1951, era nel cortile con delle vicine di casa. Si sfogava con esse. Parlava concitato delle sue miserie. Siamo nei primi anni del dopoguerra. La fame si fa sentire ovunque, specialmente nelle periferia disastrate di Roma. Primavalle è una di queste. Domenico ha tre figli da mantenere. Oltre la moglie. Ma le sue miserie non sono quelle economiche. Bensì quelle umane. Giselda le ha appena consegnato una lettera dove ammette i suoi tradimenti. Lui lo aveva sempre sospettato. Ma non ne aveva le prove. Infine, Giselda lo ha ammesso. E' disperato il povero Domenico. Le donne che lo ascoltano non possono non sentire nei confronti di quell'uomo un senso di pietà. Ora capiscono i litigi fra i due. Davano la colpa a lui. Ma era lei l'artefice di tutto. Era lei a esasperarlo. E mentre cercano di confortarlo, su, al terzo piano si apre la finestra. Vedono affacciarsi la svergognata moglie di Domenico. Le donne provano un senso di repulsione nel vederla. Si sentono in qualche modo tradite, perché credevano che fosse, come loro stesse, vittima innocente delle angherie del marito. Non immaginavano quanto potesse essere perfida. Infatti, nella lettera, ammette più di un tradimento. Ma... Giselda fa qualcosa che proprio non si aspettavano. Spalanca la finestra. Si mette in piedi sul davanzale. Giù, nel cortile rimangono tutti con il fiato sospeso. Adesso dimenticano la cattiveria di quella ingrata, vorrebbero fermare il suo gesto. Ma non fanno in tempo a dire "a" che Giselda fa un passo avanti e si butta giù. Le donne urlano isteriche. Il tonfo del corpo che si abbatte sul selciato, il rumore delle ossa che si spezzano, è quanto di più lugubre abbiano mai udito.

23 giugno 1995. Busto Arsizio. Adesso invece è notte. Diego Gibellini è arrabbiato con suo figlio Davide. Lo ha rimproverato perché racconta tutto quello che si dicono a sua madre, Nives Faggetti. Diego e Nives sono separati da pochi mesi, e Davide una volta alla settimana va a dormire da lui. Quella sera, Diego è scontroso con Davide. Ma sono solo parole. Dopotutto è un ragazzino, anzi un bambino, ha solo 10 anni. Domani mattina cercherà di parlarci. Adesso dorme. Anche Diego va a dormire. Ma una frescura, una brezza lo sveglia. Non riesce a capire da dove provenga dato che ha chiuso tutto. Si alza per controllare. Si accorge così che Davide non è a letto. Come è possibile? Forse è in bagno. Poi nota la fonte di tanta frescura. E' la finestra. E' aperta. Strano, ricordava benissimo di averla chiusa. Si avvicina per serrarla quando l'occhio gli cade giù da basso. E rimane ammutolito dal terrore. Davide è nel cortile di sotto. In un lago di sangue. Corre a perdifiato giù per le scale per tutti e sei i piani. Non prende neppure l'ascensore. Corre, corre, corre. Fa come se il suo correre potesse fermare la caduta del figlio. Che ormai è avvenuta. Inevitabile. Davide si è buttato dalla finestra. Il tonfo è stato talmente assordante che gli inquilini dei piani inferiori lo hanno sentito. Adesso, Diego si dispera. Davide è ancora vivo. Ma non riprenderà conoscenza. Morirà poco dopo.
L'eco assassina del salto nel vuoto di Giselda si ripete e rimbomba in quella di Davide Gibellini.


Abbiamo qui due storie di suicidio. Una donna, madre di tre figli, che non resiste alla vergogna. Forse non ammette che il marito parli delle loro cose in pubblico. O forse, molto probabilmente, era un gesto premeditato, poiché scrivere quella confessione sembrerebbe un preludio al suo gesto.
Il piccolo Davide, invece, si è suicidato per un rimprovero del padre. Ma, verosimilmente, c'è di più: non ha resistito allo stress della separazione de suoi genitori.
Qual è la morale: l'occasione fa l'uomo ladro e una finestra aperta fa del depresso un suicida? 
Quali sono le colpe di Domenico Serva e di Diego Gibellini, quelle di non aver saputo prevedere il gesto dei loro cari, di non aver letto fra le righe, di non aver capito? E come potevano? Non erano degli psichiatri. La depressione uccide e fa uccidere. Ma neppure la psichiatria riesce sempre a fermare il gesto estremo dei depressi.

Cosa dire? I genitori non dovrebbero separarsi mai e le mogli dovrebbero essere sempre fedeli? Forse… forse avevano ragione i nostri avi: il pater familias non deve essere messo in discussione. L’uomo comanda sulla donna e sui figli. Data questa regola non assisteremo più a tali tragedie. Invece, il divorzio, l'emancipazione della donna, la troppa libertà ai figli, ecco che scatena drammi di tal genere. 


Questo è quello che dovevano aver pensato Domenico e Diego, vittime essi stessi del gesto estremo dei loro cari. Perché su di loro cade tutto il senso di colpa. Su di loro permane la devastazione.
I magistrati fanno il loro dovere. Archiviano i casi. Non si deve indagare troppo intorno ai suicidi perché si alimenta il dolore.

Pater familias





Giselda Fallito non muore sul colpo. In qualche modo sopravvive. Fra atroci tormenti dovuti alle ossa fratturate, agli organi interni spappolati. I medici sono scettici, non pensano che si salverà. Ma ce la mettono tutta. Il pietoso magistrato di turno è costretto a chiedere alla donna del perché di quel gesto. Ne avrebbe fatto volentieri a meno. Tuttavia, il dovere glielo impone. La lettera. La lettera dove lei ammette i tradimenti. Dove si accusa. Il magistrato non le chiede nulla in merito. Questa donna sta per morire. Non servirebbe a nulla se non a tormentarla ancora di più. Ma è Giselda a parlane, forse vuole liberarsi di un peso. L’uomo di Legge le sussurra che non ha importanza. Quel che è stato è stato. Ma Giselda insiste. E il Magistrato inorridisce: la lettera l’ha scritta su coercizione del marito. Lei è una donna morigerata, non avrebbe mai commesso un tradimento. Anzi, è lui che la tradisce quotidianamente. Il giorno prima l’ha riempita di botte davanti ai figli costringendola a confessare cose che lei non aveva mai commesso. Infine, le ha dato un ultimatum: o ti butti dalla finestra o ti uccido davanti ai tuoi figli. Giselda, terrorizzata rimane chiusa per tutta la notte in camera con i figli. Teme per loro. Pensa che non si butterà dalla finestra non solo Domenico ucciderà lei ma sopprimerà anche i figli.
Il Magistrato raccoglie in punto di morte la parole di Giselda. Interroga le vicine che hanno assistito alla tragedia. Esse, in effetti, avevano notato che Domenico guardava verso la finestra di casa continuamente. Che parlava sì, del tradimento della moglie, ma in qualche modo era distratto da quella finestra. I figli confermano che Giselda veniva picchiata spesso in modo violento; specie il giorno prima che si buttasse dalla finestra.
Il Magistrato riflette: in effetti perché Giselda prima di morire invece di chiedere perdono ai figli per quello che sta per fare, si mette a scrivere una lettera dove si accusa di vari tradimenti? Una libertina e il senso di colpa sono una contraddizione in termini.
Per Domenico scattano le manette.


Decesso a seguito di precipitazione” ovvero suicidio. E così che viene archiviato il caso di di Davide Gibellini.
Ci sono gli investigatori alla Dashiell Hammett, il grande scrittore padre dell’Hard Boiled School, quello che ha inventato l’investigatore privato di Sam spade e ha ispirato Raymond Chandler, il padre di Philip Marlowe. Sono personaggi da romanzo. Però qualcuno esiste per davvero. Per esempio l’ispettore Walter Solbiati.

Sam Spade, interpretato da Humphrey Bogart nel Falcone Maltese


Dopo che il caso di Davide Gibellini è stato archiviato, l'ispettore si mette alle costole di Diego, lo tampina, lo cerca, lo provoca: “Ciao Diego, come va?” gli chiede quando lo vede per strada.
L’altro risponde in modo evasivo: “Così così.”
“Vedrai che tutto si aggiusta” ribatte il poliziotto sorridendo. Poi lo fissa e gli chiede a bruciapelo: “Lo hai buttato tu dalla finestra Davide, vero?”.
Quello non replica, gli volta la schiena e se ne va.
“Buona giornata Diego” gli grida l’ispettore con fare affabile.
Walter Solbiati crede agli psichiatri quando asseriscono che un bambino può anche suicidarsi ma crede molto di più a Nives Faggetti, la madre di Davide, la quale fin da subito aveva accusato il marito. L’ispettore aveva visto come la donna si era opposta in tutti i modi all’archiviazione del caso come suicidio. Era rimasto scosso e sbalordito dalla sua caparbietà davanti al magistrato. Potevano essere le elucubrazioni di una madre che non accetta il suicidio del figlio e per questo vuole accusare il marito. Nives asseriva che Davide era felice perché aveva appena ricevuto in regalo un gattino. Non aveva motivo per uccidersi. Soprattutto una frase aveva colpito l’ispettore: “Diego era manesco. Alle due di notte mi svegliava dandomi ceffoni. Rimuginava sui suoi pensieri e poi non sapeva trattenersi dall’essere violento con me e con suo figlio. Davide è precipitato dalla finestra alle due di notte. Per questo ho subito pensato che fosse stato lui a buttarlo giù. Lo ha fatto per ferirmi, per vendicarsi di me. Di suo figlio, non gliene è mai fregato nulla.”
Il poliziotto crede a queste parole. Crede alla coincidenza dell’ora: alle due di notte Diego perde il controllo dei propri impulsi Poi c’è un altro particolare: guarda caso Diego si è svegliato proprio pochi istanti prima che il figlio si buttasse dalla finestra. Una premonizione? O una premeditazione? E così decide di non mollarlo. Fa in modo di incontrarlo spesso. Vuole metterlo sotto stress. Non dargli tregua. La tattica pare funzionare, Diego cerca di evitarlo in tutti i modi. Finché non arriva ad assentarsi dal lavoro, staccare il telefono e chiudersi in casa. Dopo 15 giorni, Walter Solbiati decide di agire, con l’aiuto dei pompieri riesce a entrare nell’appartamento al sesto piano. Diego è a letto. L’ispettore lo descriverà come un fantasma. Non appena lo vede, Diego lo prende per un braccio e dice: “Avevi ragione tu, sono stato io a  buttare Davide fuori dalla finestra.”
Il bambino, racconterà il suo assassino, stava dormendo. Lui lo prende, lo solleva. E lo porta alla finestra. In quel momento Davide si sveglia, si stropiccia gli occhi, disorientato chiede cosa stia succedendo. Per tutta risposta Diego lo lascia andare. Il piccolo Davide precipita con l’angosciante visione di suo padre che lo osserva. Non emette neppure un grido dalla sorpresa.

Nei videogames esiste il concetto di Male Elementale, 

Il Male secondo l'iconografia corrente. In verità il Male ha il volto dell'uomo comune

ovvero di un’entità che raffigura il Male allo stato puro, il Male come elemento quale potrebbe essere l’acqua, l’aria, la terra. I casi di Domenico Serva e Diego Gibellina sono ben rappresentativi di tale visione video ludica applicata alla realtà.

Il fatto che Domenico non abbia spinto materialmente la moglie dalla finestra ma l’abbia indotta a defenestrarsi da sola, è un aggravante o meno della sua colpa? È senza dubbio un aggravante poiché implica che ai danni di questa donna è stata compiuta un’opera di distruzione, sfacelo, annientamento della propria volontà che è durata anni. Al Serva non gli importava assolutamente nulla dei figli, per questa poteva privarli della madre. Si tratta di un uomo abbietto, prevaricatore, immorale che vuole disfarsi di una presenza scomoda ma senza assumersene direttamente la responsabilità. Così poi potrà fare i comodi suoi. Non esiste nessuna progettualità del futuro della propria famiglia senza il sostegno di Giselda. Come avrebbe allevato da solo i figli? Non era questo un problema da considerare, secondo lui. Eravamo in tempi in cui, per l’appunto, esisteva il concetto di capo famiglia. Il maschio poteva picchiare, stuprare, asservire la moglie e la Legge non interveniva.
Nel caso di Diego, il Male è Totale, poiché mentre il fine di Domenico tutto sommato ha un che di utilitaristico, dalla morte della moglie ne trarrà il beneficio di fare quello che vuole, per Diego si tratta di puro dispetto, di mera vendetta. Ma il concetto base è sempre quello del pater familias, ovvero del diritto di vita e di morte del capo famiglia su moglie e figli.
Sembrerebbe che almeno in Diego alla fine sia prevalso il senso di colpa. Io credo piuttosto che sia crollato per la pressione alla quale lo aveva sottoposto l’ispettore Solbiati. Diego è un uomo egoista, violento, intollerante. Ma non per questo è un duro. Anzi, è un debole, un rivendicativo, un rancoroso che si sfoga con persone più deboli di lui. Secondo una certa prospettiva psichiatrica, Diego ha voluto esprimere nella morte del figlio il proprio intento suicidiario. Davide gli somigliava talmente tanto che la sua morte è la rappresentazione della propria morte. Io non la vedo così. Al contrario, la morte di Davide rappresenta il suo intento omicidiario. Uccidere il figlio è la rappresentazione della morte della moglie. Ammazzando Davide uccide Nives. Ed è proprio quello che voleva ottenere ed ha ottenuto.
I due loschi figuri meriterebbero un ritratto nella galleria degli orrori.
Però, c’è in queste storie anche il concetto di Bene Assoluto. Giselda, si uccide per evitare il sacrificio dei figli. Pur nella sua debolezza, dimostra una forza morale ammirevole. Nives, dal canto suo, sa che il figlio era da lei amato e non avrebbe pensato mai al suicidio. Il bisogno di Giustizia per Davide e il suo atto d’amore.

 Alla fine, il vero “uomo”, il vero pater familias, è la donna. Almeno in queste tristi vicende appena narrate.