lunedì 28 marzo 2011

La drammatica storia di Carlie Brucia



Nel 2004, forse qualcuno se lo ricorderà, fummo angosciati per un episodio che avvenne in America: una ragazzina venne rapita in un parcheggio. Ma perché un evento così lontano, un fatto tutto sommato all'ordine del giorno,  fece tanta eco fino a giungere alle nostre latitudini? ogni anno negli Stati Uniti 5.000 bambini vengono sequestrati da uno sconosciuto maniaco sessuale: 300 muoiono uccisi. Cosa aveva dunque di speciale questo caso rispetto ad altri?

Sarasota – Florida.



Domenica, 1 febbraio 2004, alle ore 18:00, Carlie, undici anni, telefona alla madre per avvisarla che sta per rincasare. Era stata a un pigiama party dalla sua amica Danielle Arnold. Si sarebbe recata a piedi a casa, anche se avrebbe dovuto percorrere un chilometro e mezzo. Comunque, nel giro di venti minuti sarebbe dovuta tornare a casa.

Percorso di Carlie da casa di Danielle alla propria



Le strade erano pressoché deserte perché si stava disputando il Super Bowl, che negli Stati Uniti è l’evento televisivo più seguito dell’anno. Alle 18:30 la madre non vedendola arrivare comincia a preoccuparsi.
I genitori di Carlie,  Susan Schorpen e Joe Brucia, sono divorziati; si sono separati che lei era appena nata. Il padre vive a New York, e Carlie va spesso a trovarlo. Quindi la madre chiede al suo convivente, Steven Kansler, di andare a cercare la figlia. L’uomo innanzitutto tenta di rintracciare Carlie a casa degli Arnold telefonicamente, ma viene a sapere che la ragazzina è uscita da circa mezzora, per cui va in strada nella speranza di incontrarla. Nel frattempo Susan aveva già chiamato il 911 (l’equivalente del nostro 113) per avvisare le autorità. Sperava che sarebbe stata subito messa in moto la macchina dell’Amber Alert.
L’Amber Alert è un programma che coordina mezzi televisivi, la carta stampata, polizia, internet, e che nel giro di pochissimo tempo lancia allarmi per rintracciare bambini scomparsi. Viene subito lanciato un bollettino di urgenze e l’intero apparato si muove per galvanizzare l’opinione pubblica sul caso in questione. In Italia solo la trasmissione “Chi l’ha visto” fa una cosa del genere. Non sarebbe male invece che ogni volta che sparisce un bambino, immediatamente in tutte le città d’Italia venissero affissi manifesti che ne denunciano la scomparsa.
Comunque sia, per Carlie Brucia, l’Amber Alert non scattò. Le autorità dissero a Susan che nessuno aveva assistito al rapimento della figlia, quindi come faceva a dire che qualcuno l’aveva presa? Magari era scappata di casa. Considerate, come abbiamo già accennato, che Carlie, al momento della scomparsa, aveva solo 11 anni!
L’Amber Alert scatta 100 volte l’anno.  Nel 99% dei casi riguarda bambine. Il 50% è vittima di un rapimento a sfondo sessuale. Di questi, tre su quattro vengono uccisi nel giro di tre ore.  Proprio come Sarah Scazzi, proprio come Yara Gambirasio. Non per niente il nome del Programma deriva sia dall’acronimo America's Missing: Broadcasting Emergency Response, sia dal caso di Amber Renee Hagerman, 



una bambina di 9 anni che il 15 gennaio 1996 ad Arlington, nel Texas, venne rapita mentre giocava in un parcheggio. Venne ritrovato 4 giorni dopo, con la gola tagliata. Il suo carnefice l’aveva tenuta in vita per due giorni. Carlie Brucia sarebbe rientrata nella categoria dei soggetti a rischio. Ma per lei l’Amber Alert fu considerato eccessivo.
Il massimo che fecero fu affidarsi ai  bloodhounds. Ve li ricordate vero? Sono i cosiddetti cani molecolari, i veri eroi e protagonisti di tante storie. 


I bloodhounds fiutarono la presenza di Carlie dalla casa degli Arnold fino all’Evie's Car Wash, al 4.735 di Bee Ridge Road. 
Autolavaggio

Si trattava dunque di un autolavaggio. Qui i cani persero la pista. I poliziotti sapevano che l’autolavaggio veniva spesso attraversato a mo’ di scorciatoia. Forse anche Carlie aveva fatto la medesima cosa. Già, ma dove era finita? Notarono una videocamera di sorveglianza sul retro dell’autolavaggio e cercarono di contattare il proprietario. La cosa però non fu possibile fino al giorno dopo. Nel frattempo la loro attenzione si concentrò sul patrigno. Non ci sarebbe stato alcun motivo per sospettarlo dal momento che lui quando Carlie fece la telefonata era in casa con Susan. Però i poliziotti non vollero lasciare nulla di intentato.
Il giorno successivo, il lunedì, di Carlie ancora nessuna traccia. La polizia non trova elementi che possano condurre alla colpevolezza di Steven Kansler. Comunque c’è sempre quella videocamera da visionare ma sarebbe veramente una gran fortuna se avesse veramente ripreso qualcosa.  Così insieme al signor Mike Evanoff, il proprietario dell’Evie's Car Wash, finalmente i poliziotti possono vedere se sul nastro c’è qualcosa. Non hanno nulla in mano tranne le tracce seguite dai cani molecolari. La telecamera non è sempre in funzione. Si accende solo se qualche movimento avviene nel suo raggio. Alle 18:21, sotto gli occhi stupiti degli investigatori, si vede  che la telecamera si è attivata. Inquadra due soggetti, una bambina con jeans e maglietta rossa che viene verso lo spettatore e un uomo sui 30/40 anni, in grigio verde, che va nella direzione opposta. A un certo punto l’uomo devia dalla sua direzione e ferma la ragazzina. Le dice qualcosa in modo brusco, poi la trascina per un braccio uscendo dal campo visivo della videocamera.
I poliziotti si guardano l’un l’altro a bocca aperta: hanno appena assistito al rapimento di Carlie Brucia! Altro che patrigno, altro che scappata di casa! Solo adesso scatta l’Amber Alert. Ma sono passate 18 ore dal rapimento.
Il video viene subito trasmesso da tutte le emittenti dello della nazione, e poi da tutte quelle degli Stati Uniti, fino a fare il giro del mondo. E così che arriva anche in Italia. Io ricordo benissimo questo episodio.
La ripresa di per sé non sembra particolarmente violenta, quasi potrebbe essere scambiato per un padre che va incontro alla figlia e la riprende per qualche cosa. Ma si vede che così non è perché lo sguardo della bambina, fino a che l’uomo non si sposta verso di lei, non incrocia il suo.
Vedere una scena del genere e provare ansia verso la bambina è un sentimento giusto: inevitabile e giusto. Mi preoccupò sapere che fine avesse fatto la piccola Carlie. Mi diede angoscia. Anche se si trattava di un evento lontano. Tale apprensione mi accomunava ai tanti che seguirono il caso. Forse ero anche particolarmente vulnerabile perché da appena tre anni ero diventato padre di una bambina anche io. Non lo so. Ma so che quando vivi in diretta un evento simile speri che alla fine di tutto ci sia un lieto fine, che il bruto vedendosi proiettato su tutte le televisioni del pianeta ci ripensi.

 

La polizia per rintracciare il rapitore chiese aiuto persino alla Nasa la quale ha potenti software in grado di mettere a fuoco le immagini sgranate della videocamera. Si riuscì così a inquadrare dei tatuaggi e una targhetta sulla maglia.
Arrivarono diverse segnalazioni, tre senza alcun dubbio indicarono nel soggetto un certo Joe Smith.
La polizia vede la scheda segnaletica di Joe Smith: 

Joe Smith

si tratta di un pluritossicodipendente con una fedina penale degna del curriculum di un luminare di Harwad. Tuttavia, si tratta di reati legati esclusivamente alla droga. Nulla di natura sessuale. Inoltre, risulta sposato e padre di tre bambine. Sarà veramente lui l’uomo del video?
Lo vanno a trovare. La sua ex moglie, Luz Castrillon, asserisce di non aver veduto quella domenica il marito, bensì il lunedì successivo. Non aveva notato nulla di particolare in lui. Identica versione diedero i coinquilini, i coniugi Pincus. Comunque Smith verrà arrestato per violazione della libertà vigilata. Non avrebbe dovuto andare a trovare l’ex moglie e le sue tre figlie. La polizia è titubante: quell’uomo ha delle bambine alle quali pare volere anche un gran bene.
Jeff Pincus asserisce che quel lunedì Smith era in uno stato quasi di grazia quando era rientrato. Non sembrava affatto che avesse avuto un qualche problema. Il che rendeva gli investigatori ancora più dubbiosi sulla colpevolezza di Smith. Però poi Jeff aggiunse che quella domenica, due ore prima che iniziasse il Super Bowl, aveva prestato la sua buick gialla a Joe. Lui aveva promesso che l’avrebbe riportata entro 15 minuti. In realtà se la tenne fino al lunedì mattina. Lesse sul contachilometri che aveva percorso 362 miglia, ovvero più di 500 chilometri. I poliziotti si guardarono: in un’altra videocamera avevano visto il passaggio di una Buick gialla! Quando andarono a controllare si resero conto che era proprio la macchina di Jeff Pincus.
Smith continuava a negare, nonostante le prove contro di lui. Tutti avevano visto quel filmato, qualcuno era certo che fosse lui, qualcun altro no. Anche sua madre, Patrica Davis, anche suo fratello, avevano visto in tv l’uomo che portava via Carlie dal parcheggio, per questo Patricia chiese a suo figlio: “Dove hai messo la bambina?”.
Smith poteva anche negare l’evidenza, andare contro la Nasa, smentire i suoi conoscenti ma quando rispose alla madre di non sapere nulla della ragazzina, Patricia per tutta risposta ribatté: “Dove hai messo la bambina?”.
Smith poteva ingannare tutti ma non sua madre. Ella non aveva alcun dubbio che l’uomo del video fosse suo figlio. Fu così che Smith confessò il delitto. Ma ebbe un’idea. Siccome sulla soluzione del caso gravavano 50.000 dollari da consegnare a chi avesse dato informazioni risolutive, spinse suo fratello a intascare la ricompensa indicandogli dove era nascosto il corpo di Carlie. Insomma, Joe voleva speculare sulla sua stessa vittima. John fu tentato di seguire questo suggerimento e andò con sua madre nel luogo indicato da Joe: un boschetto di una chiesetta a 3 km dall’autolavaggio. Ma non trovarono nulla.

Scena del crimine


John discusse al telefono con suo fratello del luogo, che si spiegasse meglio. Ma mentre Joe parlava all’improvviso a John venne un’illuminazione: suo fratello era l’unico indiziato del rapimento, non è che per caso monitoravano le sue telefonate? Spaventato si recò alla polizia per indicare il luogo dove era probabilmente sepolta la povera Carlie, raccontando come Joe avesse cercato di guadagnarci persino sopra. Era convinto che così la polizia avrebbe creduto alla sua buona fede quando avesse ascoltato le sue telefonate. Ma i loro telefoni non erano affatto sotto controllo!
Il cadavere di Carlie Brucia venne trovato il 6 febbraio. L’autopsia stabilì che era stata violentata sia in vagina che oralmente. Si era difesa come aveva potuto. Smith la strangolò secondo il metodo della garrotta. Una fine orribile per questa povera bambina. Non si prese neppure la briga di prendere in braccio il corpo per deporlo. Lo trascinò lungo il selciato, la sterpaglia, deturpato il viso della piccola Carlie. Un vero animale. Anzi, una bestia. Carlie probabilmente era morta nel giro di un paio d'ore.
Smith, secondo la migliore tradizione americana venne condannato a morte. Aspetta il suo momento. Generalmente la media per l’esecuzione è di 13 anni. Ne sono passati 7, gliene rimarrebbero altri 5, dopodiché il mondo farà a meno della sua ingombrante presenza. Non sono favorevole alla pena di morte, anzi, la aborro, scriverò un articolo apposta sull’argomento, ma certo non piangerò quando Smith tirerà le cuoia.

Non ho raccontato questa storia solo per ricordare il dramma di Carlie Brucia, il cui ricordo ancora mi commuove, e la cui visione del suo rapimento ancora mi agghiaccia. C’era una lezione da imparare.
Ci sono molte analogie con il caso di Yara Gambirasio: le due bambine avevano quasi la stessa età: Carlie 11 e Yara 13. Sono state rapite verso la medesima ora. Nel caso di Carlie la videocamera di sorveglianza è stata risolutiva: Joe Smith non si era accorto della sua presenza. La videocamera del Cittadella dello Sport di Brembate non deve proprio aver funzionato perché non solo non ha ripreso il rapimento di Yara ma neppure il suo passaggio all’uscita dalla palestra. Infatti, non si sa esattamente l’ora in cui la bambina è stata rapita. Insomma, non si è ripetuto un caso Carlie Brucia perché le videocamere in Italia ne funzionano una su dieci.
I cani molecolari, nella vicenda di Carlie, hanno fiutato giusto: la bambina era stata nel parcheggio. Sono stati questi cani a risolvere indirettamente il caso. Nel caso di Yara i cani sono arrivati nel cantiere. Io ho fiducia in questi cani. Penso che se si sono recati lì qualcosa lì è accaduto.
Smith ha portato Carlie a 3 km di distanza dal luogo del rapimento. 

Percorso dall'autolavaggio alla chiesa
Anche il cantiere si trova a 3 km dalla palestra. 

Percorso dalla palestra al cantiere

Cioè a dire che un rapitore a scopo di libidine non si porta a spasso per decine di chilometri il suo ostaggio. Ha fretta di consumare il suo delitto.
Ma la lezione più importante è la facilità con la quale si può rapire una bambina, la quale terrorizzata non riesce a reagire. Diventa immediatamente succube del suo aggressore. 


Potrebbe essere accaduto qualcosa di simile anche nel caso di Yara. 

Carlie Brucia


domenica 27 marzo 2011

Due aghi nel pagliaio

Alcune considerazioni in merito al delitto di Yara

La causa della morte.
E' stato detto che Yara sarebbe morta dopo lunga agonia per assideramento. Lo si deduce dal fatto che nessuna ferita appare mortale, né quelle da arma  da taglio, né quelle da colpo contundente.
Sinceramente ho seri dubbi che la causa di morte sia assideramento dopo lunga agonia. Se riflettiamo sulla posizione finale del cadavere ci troviamo di fronte a una posa che non è affatto naturale.

Le braccia allungate all'indietro e le gambe distese non sono segni di chi ha sofferto il freddo. Semmai avremmo dovuto ritrovarla rannicchiata su se stessa. A meno che non si voleva dire che Yara una volta depositata a terra, dopo essere stata trasportata nel campo, era incosciente e non si è più ripresa. In questo senso sì che sarebbe potuta morire assiderata. Eppure, mi pare strano che i suoi assassini, così meticolosi nel far ritrovare addosso a lei i suoi effetti personali non si fossero resi conto che la ragazzina era ancora viva. La causa della morte di Yara rimane un mistero oppure è deceduta per una ferita che in realtà era mortale o per dissanguamento. Forse in conferenza stampa non è stata detta tutta la verità.

Il DNA
Il doppio profilo genetico ritrovato sul suo corpo pare abbia fatto rizzare le orecchie agli investigatori. Cercano caparbiamente un uomo e una donna. Riflettiamo su questa scoperta. Sono sicuri che si tratti del dna dei suoi assalitori? Certo è che questo dna non è di nessuna persona vicino a Yara. Su che tipo di materiale biologico è stato estratto? Su quale parte del corpo? Gli inquirenti hanno sperato che gli assassini depositassero spontaneamente la loro saliva. Difatti il prelievo della saliva è avvenuto solo su base volontaria. Ma perché gli assassini avrebbero dovuto lasciare la loro saliva? Un perché ci potrebbe essere ma non lo rivelo.
Ho anche riflettuto sul fatto che il giubbino non presentava lacerazioni da coltello. Se i colpi sono stati inferti in regione lombare potrebbe essere che la maglietta e il giubbino si siano sollevati di quel tanto da sfuggire all'azione penetrante del coltello. Altrimenti, dobbiamo presupporre una qualche fase che non abbiamo considerato.

Il movente
L'autopsia non ha riscontrato tracce di violenza sessuale. Presumibilmente non c'è stata. Questo esclude il rapimento a scopo di libidine? Il fatto stesso che gli assassini erano un uomo e una donna, porterebbe a escludere tale elemento? Non necessariamente. Il problema è sapere da quale materiale biologico è stato estratto il dna maschile e da quale quello femminile.

Come mai siamo a un empasse? Quale tassello manca? Credo che gli investigatori siano convinti, anzi certi, che esiste una scena del crimine intermedia fra quella dove è avvenuto il rapimento e quella dove è stato rinvenuto il cadavere. E' la scena dove è stata pugnalata e colpita con un oggetto.  Potrebbe trattarsi della stessa via Bedeschi. Il cantiere è stato escluso poiché nulla è stato ritrovato nella sua area. Io non l'avrei escluso, avrei dato una possibilità ai cani molecolari. La scena del crimine potrebbe essere l'auto parcheggiata nel cantiere. Ma se tutto è avvenuto nell'auto perché cercare nel cantiere? Non è questo il punto. Il punto è capire perché Yara non è stata lasciata nel cantiere. A mio avviso dovrebbero essere sottoposti all'esame del dna tutti quelli che lavoravano nel cantiere fino al 26 novembre, sia uomini che donne.

Gli oggetti
Far ritrovare gli oggetti di Yara addosso a lei dimostra una certa sofisticazione da parte degli assassini. Si tratta di un mazzo di chiavi, un paio di guanti, un ipod, la sim e la batteria del cellulare. Manca il telefonino. Ora, presumo che sia l'ipod che le chiavi fossero già in qualche tasca. Quindi è stata Yara a riporli. Di certo, la sim e la batteria sono stati invece riposti dagli assassini. Rimane da capire chi ha riposto i guanti, perché proprio su un guanto sarebbe stato ritrovato il dna dei suoi aggressori.
Anche se aver smontato il telefonino pare un gesto inutile, se il fine era quello di non venire rintracciati, rimane comunque un'azione sofisticata. Cioè espressa da persone che sanno cosa sia un segnale. Però non hanno una grande cultura tecnologica, altrimenti avrebbero potuto lasciare tranquillamente anche il telefonino. Invece lo hanno portato via. Come mai? Forse perché in realtà sono stati costretti. Sul telefonino avevano lasciato evidenti tracce.

Soluzione del caso
Avere il dna è un vantaggio enorme. Prima o poi questo caso verrà risolto. Il fatto stesso che siano stati in due potrebbe agevolare la soluzione, se uno dei due cede o si scopre o si confida con qualcuno. In ogni caso meglio cercare due aghi in un pagliaio che uno.

sabato 26 marzo 2011

La super testimone

Le indagini sulla morte di Yara si sono arenate, mi pare di capire che l'unico modo per venire a capo della faccenda sia quello di sperare in un colpo di fortuna. Forse ce ne sarebbe uno. Riporto la notizia:


Yara: spunta una nuova testimone

Donna aggredita da giovane, lo vide a novembre in zona scomparsa

26 marzo, 22:49

Yara: spunta una nuova testimone

BERGAMO - Uno scippo a Brembate Sopra (Bergamo), finito con l'arresto del rapinatore, potrebbe procurare nuovi elementi nelle indagini sull'omicidio di Yara Gambirasio, la tredicenne scomparsa a Brembate Sopra (Bergamo) il 26 novembre 2010 e ritrovata morta il 26 febbraio scorso in un campo a Chignolo d'Isola (Bergamo).
Si tratta di una donna scippata due settimane fa che ha ricordato solo ora di aver visto il suo aggressore, un nigeriano di 23 anni, parlare con un altro uomo in via Rampinelli, proprio nei giorni della scomparsa di Yara. E contemporaneamente di aver notato un vecchio furgone bianco posteggiato davanti alle Poste.
Potrebbe quindi diventare una nuova testimone per le indagini sull'omicidio di Yara. La versione fornita dalla donna alle forze dell'ordine sara' presto al vaglio degli inquirenti della Procura di Bergamo.

Insomma, sarebbe una svolta importante. Però, io personalmente, per una testimone così, non darei una lira. Guarda un po': di Yara se ne parla da quattro mesi, e costei ricorda solo ora particolari importantissimi. Yara è scomparsa il 26 novembre, il 27 lo sapevano tutti, in paese non si parlava d'altro, e questa donna che la sera della scomparsa nell'ora della scomparsa, sul luogo della scomparsa, avrebbe visto due uomini con un furgone bianco, se ne ricorda solo ora!!! Non ha sentito il bisogno di informare la polizia nelle primissime ore del fatto ma ben quattro mesi dopo. Strana memoria questa donna!. Due sono le cose: o è una mitomane oppure sta mentendo. Fa finta di ricordarsene adesso perché prima per qualche ragione ha volontariamente taciuto. Oppure, si è talmente arrabbiata con il suo scippatore che per vendetta vuole adesso coinvolgerlo in qualcosa di ancora più grande. 
Pensate: voi venite a sapere che una ragazzina del vostro paese è stata rapita. Come tutti, siete ansiosi e curiosi di sapere chi, come, dove. Ascoltate qualsiasi notizia. Caspita è successo nel vostro natio borgo selvaggio! Per cui fin da subito sapete chi è la ragazzina rapita, dove è avvenuto il fatto, e quando. Lì per lì non vi viene in mente che, guarda caso, voi nella medesima ora in cui stava avvenendo il rapimento, eravate a poche decine di metri! Non ci fate caso! Invece, quattro mesi dopo subite uno scippo e credete di riconoscere nel ladruncolo una persona vista la sera del rapimento della ragazzina, presso il luogo del rapimento, più o meno all'ora del rapimento!
A essere buoni una simile testimone la manderei a quel paese, a essere cattivi come minimo cercherei di capire se tale menzogna è un depistaggio. Forse costei sa chi sono gli autori del delitto e vuole sviare le indagini. Insomma, a tutto posso credere, tranne che questo ricordo sia affiorato solo adesso per puro caso!

mercoledì 23 marzo 2011

Un lungo addio alla grande Liz Taylor. Una che sembrava immortale... e forse lo è...



Grande attrice, splendida donna, magnifici occhi viola. E' stata l'amica di personaggi importanti ma in qualche modo tormentati. Fu amica di Motgomery Clift, 


un uomo ossessionato dalla propria bellezza che cadde in depressione quando un incidente stradale gli deturpò i lineamenti. Un attore superbo, di una generazione superba.

Fu vicino a Rock Hudson, 



un attore che amo moltissimo nella trilogia con Dorys Day e Tony Randall. Non gli fece mancare il suo sostegno quando questi si ammalò di Aids. Rock Hudson, come Montgomery Clift, era omosessuale. Un segreto che la Taylor ha sempre saputo ben conservare in entrambe le amicizie. Quando Rock Hudson morì in seguito alla malattia, Liz si fece promotrice di una campagna di sensibilizzazione per l'Aids. 

Fu anche devota amica di Michael Jackson, 


nel periodo più travagliato per il re del pop; tant'è che dopo la sua morte, Liz ebbe un malore. Testimoniò persino in suo favore quando Michael fu processato per pedofilia. Insomma, doveva avere un grande cuore la bella Liz.

Una donna così poteva avere tutto. Infatti, ebbe otto mariti. o meglio sette, poiché sposò due volte Richard Burton. Il record però non spetta a lei, bensì a Zsa Zsa Gabor, 


una delle donne più spiritose del jet set hollywoodiano, vi consiglio di leggere tradotto da Aldo Busi, il suo pamphlet Come accalappiare un uomo, come tenerselo stretto e come scaricarlo. La Gabor  è celebre per i suoi fulminanti aforismi (Una donna ha bisogno di quattro animali nella sua vita: una Jaguar in garage, una tigre nel letto, un visone sulla pelle e un asino che paghi).
Zsa Zsa si sposò nove volte, tra l'altro con Conrad Hilton, padre di Conrad Hilton Junior che divenne il primo marito di Liz taylor, e che ella lasciò perché aveva il vizio di bere e menava la mani. 

Insomma, stiamo parlando della Bellissima Cleopatra


che non possiamo non omaggiare



 Un grande grande Good Bye, Liz


Appunto

Ho commesso un errore grossolano: non so dove abbia letto la notizia che la sim e la batteria del cellulare di Yara fossero state rinvenute nello zainetto. Nessuno zainetto. Tali oggetti erano nella tasca del giubbino insieme ai guanti. Ovviamente sono stati i suoi carnefici a riporli nella tasca. Ma anche i guanti? Ovvero, i guanti e questi oggetti erano nella medesima tasca? In ogni caso questo errore mi ha fatto balenare un'idea, una strategia che non so se gli inquirenti hanno adottato. Per cui al momento non ne parlo. Il fatto, però, che confidino nel dna di qualche parente degli assassini che si presenti spontaneamente mi fa supporre che tale strategia non abbia funzionato, seppure essa sia mai stata messa in atto.
Sto preparando un articolo sulle coppie assassine. Spero di pubblicarlo presto.

giovedì 17 marzo 2011

Storia magistra vitae: il caso dello strangolatore del Leicestershire

21 novembre 1983, a Narburough,  Lynda Mann, 15 anni, si stava recando da un amico. Si fa tardi. Non torna a casa. I genitori si allertano subito. La cercano. Verrà ritrovata la mattina dopo. Cadavere. E' stata violentata e poi strangolata.




Lynda Mann




Il 31 luglio 1986, a Enderby, a pochi chilometri da Narburough,  Dawn Ashworth, anche lei 15 anni, non torna a casa. La troveranno due giorni dopo. Cadavere. E' stata violentata e strangolata. Proprio come Lynda.


Dawn Ashword


In questo secondo delitto forti sospetti si concentrarono su Richard Buckland, un 17enne che pareva sapere troppe cose su questo omicidio. In effetti il ragazzo confesserà l'assassinio offrendo particolari conosciuti solo dagli investigatori. Essi, allora, pensarono che fosse implicato anche nel primo omicidio, quello di Lynda Mann. Ma Buckland negò recisamente che avesse ucciso anche questa ragazza.
La polizia aveva il liquido seminale dell'assassino di entrambe le aggressioni. In quegli anni, proprio in Inghilterra, venne elaborato il test del DNA. La polizia pensò bene di usfruire di tale prova per incastrare Buckland del delitto Mann. Ma gli esami di laboratorio scagionarono Buckland da questo omicidio. Pur sconcertata la polizia ritenne di proseguire con le accuse per il delitto Ashworth. Il padre del ragazzo però, chiese che anche per il secondo delitto   Richard venisse sottoposto alla prova del dna. Risultato: pure per questo omicidio Buckland risultò innocente. Ma il test disse di più: confermò che c'era un solo assassino, poiché il profilo genetico era il medesimo sia nel delitto Mann che in quello Ashword.
La polizia, anche se di mala voglia, dovette rilasciare Buckland. Qualcosa non doveva aver funzionato in quel test, o forse era proprio il test a non valere una cicca, poiché Buckland era sicuramente colpevole. Però, non potevano ignorare i risultati e dovettero lasciarlo andar via. Adesso brancolavano nel buio. Tuttavia, avevano il profilo genetico dell'assassino, allora perché non sottoporre a test l'intera popolazione adulta maschile della zona? Ed è proprio quello che fecero.
I primi a venire testati furono ovviamente quelli con reati sessuali. Tra questi c'era anche Colin Pitchfork, un tale che durante il primo omicidio era stato interrogato. Pitchfork non aveva un alibi. La sera del delitto aveva accompagnato la moglie al lavoro, in macchina c'era anche il figlio di due anni. Difficile che uno che ha un bambino in macchina decida di improvvisare un aggressione sessuale con omicidio. Ma non avevano altro. Poteva essere lui l'assassino. Il suo nome era nella lista di quelli che dovevano fare il test.
Però anche il dna di Pitchfork risultò negativo. Come c'era da aspettarsi. Ma quando non hai nulla le provi tutte. E se hai un sospettato vai sino in fondo. E se proprio non ne hai ti devi arrangiare. E come si arrangiarono! Ben 4.500 test furono effettuati senza che diedero alcun risultato utile per le indagini.
Un anno e mezzo dopo, una sera, in un pub, una cerchia di amici parlava di questo test del dna che stava facendo tanto clamore. Che diavoleria era mai?Fra loro, un tale Yan Kelly confessò di essersi sottoposto al test ma di aver declinato le generalità di un collega. Era stato il collega stesso a chiederglielo perché non si fidava della polizia. Siccome era stato schedato per uno stupido reato compiuto da ragazzo, temeva che per trovare un colpevole ad ogni costo, potessero rifarsela con lui.  A sentire questa storia, anche un altro della comitiva ammise che questo collega ci aveva provato pure con lui raccontandogli la medesima storia. Ma egli, al contrario di Yan, aveva rifiutato la richiesta. Scherzarono sul tipo che, raccontarono, appariva piuttosto goffo nei suoi approcci con le donne. 
La direttrice di un negozio, che era seduta insieme a loro, però, credette che il gesto di Yan fosse stato gravissimo. Insistette nel fargli riconoscere l'errore. Ma Yan e gli altri minimizzarono la questione asserendo che il tizio era solo uno sprovveduto. La donna, che conosceva il personaggio, convenne che era un bambinone troppo cresciuto. Però le rimase il dubbio... 
Un tarlo che non la lasciava dormire: non voleva nuocere né a Yan né all'altro dipendente. Se avesse raccontato la cosa alla polizia probabilmente i due avrebbero passato un bel guaio. Tuttavia, l'idea che il tipo potesse essere l'assassino e che altre ragazze potessero venire uccise la convinse a riferire l'episodio appreso nel pub alla polizia.
Questa, che ormai non sapeva più da che parte girarsi, quando seppe la notizia, immediatamente andò sia a casa di Yan che dell'altro. Li arrestò entrambi. Vennero sottoposti al test del DNA: quello di Yan risultò simile a quello rilasciato un anno prima dal suo collega di lavoro. E quello del suo collega di lavoro risultò simile a quello che aveva uccise le due ragazze. Il suo nome era Colin Pitchfork. 
Pitchfork non era uno stupido, aveva compreso l'importanza della prova del Dna  anche se era la prima volta che veniva adottato per la caccia a un criminale, ecco perché aveva convinto Yan Kelly a lasciare il proprio dna al posto suo. 
Nonostante la sera del delitto Mann egli avesse in macchina il figlioletto, non per questo vedendo Lynda il suo proposito omicida venne meno. Fermò l'auto con il figlio che dormiva, seguì LYnda, la violentò e l'uccise. Siccome in quel periodo si stava stempiando e indossava un  orecchino, temendo di venire riconosciuto, la strangolò. E così pensò di fare tre anni dopo con la Ashword.


Lo strangolatore del  Leicestershire
Non è per caso che ho riferito questa vicenda che fa parte ormai della storia della criminologia. Pitchfork, vide l'occasione e la sfruttò, anche se aveva la responsabilità di un figlio da accudire. Il criminale ragione secondo parametri completamente diversi dai nostri. 
L'assassino di Yara, o gli assassini, potrebbero aver pensato la medesima cosa: hanno visto una ragazza sola e hanno approfittato dell'occasione.
Pitchfork aveva 27 anni, era un panettiere, abile decoratore di torte, sposato e con due figli, al momento dell'arresto. 
Gli inquirenti che indagano sull'omicidio di Yara hanno puntato molto sul dna trovato sui guanti. Questo mi ha fatto riflettere. Potrebbero effettuare la stessa procedura degli inglesi nel 1986. Ma le leggi impediscono il prelievo coatto dei liquidi biologici sulle masse. Magari lavoro troppo di fantasia ma forse ho capito una certa stranezza e forse so cosa hanno in mente. Tuttavia, preferisco tacere quello che ho pensato perché potrebbe nuocere alle indagini se, putacaso, avessi visto giusto e l'assassino leggesse queste pagine (potrebbe, dato che è più interessato di me al proprio delitto). 
Speriamo sia come penso io. E speriamo che chiunque sia venga catturato. In bocca al lupo agli investigatori!


Io sono del parere che per avere il dna non dovrebbe essere necessario chiedere il consenso. Tutti dovremmo essere mappati. Quanti crimini verrebbero risolti nel giro di poche ore se esistesse una banca mondiale del DNA. Non solo la cattura dei criminali sarebbe più rapida ma anche i corpi delle vittime sconosciute sarebbero subito identificati.


PS: Per chi volesse approfondire la storia di Colin Pitchfork, consiglio l'ottimo libro di Joseph Wambaugh, Impronta di sangue, edito sia da Rizzoli che da Fabbri. Lo trovate però, credo, solo ebay.



martedì 15 marzo 2011

Il gioco a somma zero: la vittima morirà

Sentiamo cosa dice il procuratore capo nella conferenza stampa

BERGAMO - "I due dna trovati non sono di Yara, dei suoi familiari e di nessuno dei profili in mano alle forze dell'ordine". Lo ha detto il procuratore capo di Bergamo, Massimo Meroni, durante una conferenza stampa in Procura. Quindi, allo stato, si tratta di tracce di sconosciuti.

I due segni genetici, un dna maschile e uno femminile, "sono stati trovati su due dita di un guanto che si trovava in una tasca dei vestiti di Yara". Lo ha detto stamani il procuratore capo di Bergamo, Massimo Meroni. E' stato precisato anche che nessuna traccia è stata trovata sulla batteria del telefonino.

UCCISA SUBITO DOPO LA SCOMPARSA - Yara Gambirasio "é stata uccisa subito dopo la scomparsa, nell'arco di qualche ora. E c'é alta probabilità che sia morta nel luogo dove è stata trovata". Lo ha detto stamani il procuratore capo di Bergamo, Massimo Meroni, durante una conferenza stampa in Procura. Ma, ha aggiunto, non si sa se la tredicenne "sia stata ferita lì".

NON C'E' NOVERO PERSONE SU CUI INDAGARE - In tre mesi non c'é un novero di persone su cui concentrare le indagini in merito al caso di Yara Gambirasio. Lo ha detto il procuratore capo di Bergamo, Massimo Meroni, durante una conferenza stampa in Procura, rispondendo con un secco "no" alla domanda posta da un giornalista.

LUNGA AGONIA E FORSE MORTA DI FREDDO - Secondo quanto emerso nella conferenza stampa di oggi, in Procura a Bergamo, Yara Gambirasio ha subito una lunga agonia prima di morire. E nelle incertezze sulla causa della morte si fa avanti l'ipotesi che possa essere stata abbandonata ferita nel campo di Chignolo dove e' stata trovata, e poi morta di freddo.
Il procuratore capo di Bergamo, Massimo Meroni, rispondendo alla domanda di un giornalista sull'ipotesi che Yara abbia avuto una breve agonia, ha risposto con un secco "no" scuotendo emblematicamente più volte la testa. E, nella ricostruzione delle cause della morte, che non sono note, non ha escluso che la tredicenne "sia morta di freddo". Gli inquirenti, infatti, al momento non sono in grado di sapere se chi l'ha aggredita l'abbia anche uccisa o abbandonata magari in stato di incoscienza e ferita, non lasciandole comunque scampo. L'unica certezza è che i primi esami medico-legali hanno confermato che "nessuna delle lesioni riscontrate ha provocato la morte" anche se possono aver "concorso" al decesso.

La vicenda della povera Yara diventa sempre più drammatica. Che Yara fosse non fosse morta per i colpi inferti lo aveva già fatto capire la dottoressa Letizia Ruggeri, il pubblico ministero, la quale ha detto: «le lesività non indicano una chiara volontà omicidiaria. Non si capisce con che logica siano state fatte, se per tramortire, uccidere o solo ferire».
Era ovvio da questa frase che stesse dicendo che Yara era morta assiderata. Ma voleva dire anche altro, cioè che l’assassino forse l’ha creduta morta quando l’ha lasciata nel campo.
Vi sono elementi che conducono a credere che le persone fossero due: non alludo al dna o alle diverse armi , ma proprio nella logica delle cose. Vediamo di capire…

RAPIMENTO: in questa fase non possiamo stabilire se gli aggressori fossero due oppure uno solo. Non ci sono elementi perché non sappiamo assolutamente nulla della dinamica. Conosciamo l’ora e il luogo, e nemmeno di questi siamo sicurissimi. Comunque, approssimativamente, le 18:45 in via Morlotti, subito dopo che Yara lascia la palestra.

UCCISIONE: apparentemente sembrerebbe opera di una sola persona poiché le ferite da taglio appartengono a una singola arma. Il corpo contundente provoca un’unica lesione a livello del capo. Forse la tramortisce, forse no.  Facciamo due simulazioni: un solo assassino, due assassini.

Una sola persona aggredisce Yara, lei si difende, cerca di scappare, ma l’offender è più veloce, la ferma con delle pugnalate alla schiena. Si spezza la lama, oppure, perde l’arma per cui utilizza un oggetto casuale. In ogni caso, se le ferite da taglio non sono così profonde da provocare un’emorragia massiva, pugnalate e colpo contundente avvengono in rapida successione.

Due persone aggrediscono Yara: la prima con il coltello, però, questa, nonostante le ferite inferte non riesce ad avere la meglio su Yara per cui interviene l’altra che ferma l’azione della ragazzina colpendola con un oggetto contundente.

Dove è avvenuta l’aggressione? Nel campo, nel cantiere, in altro luogo, sull’automezzo? Continuo a pensare che tutto sia avvenuto sul mezzo perché le ferite non sono profonde. Nell’area ristretta dell’abitacolo l’arto non poteva estendersi al massimo delle possibilità per cui non accumulava abbastanza energia cinetica da scaricare colpi violenti e profondi. La stessa cosa dicasi per il colpo contundente. Ecco perché le ferite non sono risultate mortali. Il fatto stesso che si riscontrano lacerazioni sui pantaloni e non sul giubbino mi fa pensare che Yara non era né sdraiata né in piedi.

Se fosse stata sdraiata perché le ferite dovevano attingere alle gambe? Semmai al petto. E come avrebbe fatto a girarsi e dunque ricevere i colpi sulla schiena? Ha ricevuto colpi sui polsi, da difesa, dunque l’assassino la sovrastava con il pugnale. Come poteva Yara tentare una fuga? Ecco perché hanno pensato che avesse colpito il suo aggressore nelle parti basse. Da sotto avrebbe vibrato un colpo a livello dello scroto per cui l’aggressore sarebbe risultato temporaneamente fuori combattimento. Yara dunque si sarebbe girata per tentare di sollevarsi ma l’altro sarebbe riuscito a colpirla alla schiena. Tuttavia, se fosse avvenuto ciò, e fosse avvenuto nel campo o in altro luogo all’aperto, avremmo trovato gli abiti tutti inzaccherati. Ma gli abiti non erano sporchi o lacerati dal contatto con un terreno duro o con pietrisco.

Yara non poteva neanche essere in piedi perché non avrebbero avuto significato le pugnalate sulle gambe a meno di credere che ad un certo punto sia caduta e l’aggressore l’abbia colpita dove ha potuto. Inoltre, in questo caso, non si capiscono neppure le ferite a livello lombare. Anche in questo caso dobbiamo pensare che Yara sia caduta e lui l’abbia colpita mentre era a terra. Ma ritorniamo al punto di partenza: i vestiti non ci dicono che ci sia stato un contatto violento con il terreno. Comunque, sia in piedi sia sdraiata, la maggior parte delle ferite dovevano ritrovarsi semmai sul davanti.

Rimane un’unica possibilità: Yara era seduta sul sedile dell’automezzo. Probabilmente quello dietro. Cosa è accaduto? Forse alle prime avance dell’aggressore, o alla richiesta di restituire il cellulare, o alla stessa vista del coltello, Yara reagisce con l’istinto della paura, si rattrappisce con le spalle verso lo sportello, inizia a difendersi come può: parando i colpi sia con le mani sia con le gambe. Sicuramente ha colpito il suo aggressore perché fa in tempo a girarsi per aprire lo sportello, forse riesce persino ad aprirlo, e in questa posizione che si solleva il giubbino e lascia scoperto i lombi che verranno attinti dal coltello. Il colpo contundente potrebbero essere stato dato dallo sportello che le viene chiuso violentemente sul capo dall’altra persona che temendone la fuga la ferma come può. Oppure, questi, vista la malaparata del suo complice, scende dall’auto, si procura un oggetto e mentre Yara sta per uscire la tramortisce. Sarebbe interessante sapere quale regione del capo è stato raggiunto da questo colpo. Nel momento in cui Yara stramazza, l’altro ferma la sua azione con il coltello.
Fermiamoci un attimo a pensare. I vestiti non si sporcheranno di terra, non si lacereranno con il pietrisco perché non c’è nessun pietrisco, niente fango: siamo a bordo del mezzo. Durante la lotta si sgancia il reggiseno.

OCCULTAMENTO: se prendiamo per buono che Yara non è stata pugnalata nel campo, per le ragioni su specificate, dobbiamo capire come l’assassino abbia potuto portare il corpo. Non ci sono segni di trascinamento, dunque lo ha sollevato da solo senza trasportarlo per le braccia. Però la posizione finale del corpo ci indica chiaramente che le braccia sono state utilizzate come mezzo per il trasporto. E in questa fase che si rende più chiara la presenza di una seconda persona. Se le braccia non indicano un trascinamento devono indicare per forza un sollevamento, questo conduce inevitabilmente a due soggetti.
Da questa fase finale risaliamo a quella iniziale: il rapimento. Yara sarebbe mai salita su un auto con due persone a bordo? Io penso proprio di no. Ma l’esame del dna  indica due soggetti, di cui uno femminile. Ragioniamo un po’ su questo dna.

 Viene rinvenuto su due dita di un guanto che era nelle tasche di Yara. Sinceramente dubito molto che in questo caso quei dna appartengano agli aggressori. Perché su un guanto sì e l'altro no? E quale guanto, poi? Il destro o il sinistro? Non potrebbe quel dna appartenere a persone alle quali Yara ha dato la mano? Difatti, non trovo nessun senso logico nel fatto che gli assassini si siano pesi la briga di infilare i guanti nel giubbino. Molto più facile pensare che sia stasa la stessa Yara a farlo prima che venisse rapita, poiché dopo essere salita a bordo perché avrebbe dovuto farlo, e se anche l'avesse fatto, una volta risposto in tasca i guanti, come poteva il dna degli aggressori finire nelle sue tasche? L’unica possibilità è che Yara abbia dato la mano ai suoi carnefici prima di salire in auto. Ma se questo dna non appartiene a gente vicino a lei perché avrebbe dovuto dare la mano a due illustri sconosciuti?
A meno che questo dna ha qualche caratteristica particolare per cui non può che essere degli aggressori. Ma se non lo è, loro lo sanno poiché ricordano di non aver mai toccato i guanti.

Allora chi ha rapito Yara; un uomo solo, una coppia, o due complici?
Io sono propenso a pensare a due persone.

Rivediamo la dinamica:


Due persone decidono di sfidare la società con un gioco a somma zero: ovvero con un solo vincitore, essi stessi. Pensano di rapire una ragazzina e sanno già che non farà più ritorno a casa. Questo gioco lo hanno studiato a tavolino. Non sanno chi sarà la vittima.
I due si appostano in via Morlotti o passano di lì proprio mentre Yara esce dalla palestra. Le ragazzine entrano ed escono accompagnate dai genitori. Yara invece, siccome abita vicino, va da sola verso casa. Prende il cellulare, vede il messaggio dell’amica, risponde, nel far ciò bisogna che si tolga i guanti e lì ripone temporaneamente nelle tasche del giubbino. Fa in tempo a inviare l’sms all’amica che i due la rapiscono costringendola a starsene accucciata immobile sul sedile posteriore.


Girano per via Locatelli, fanno la strada meno frequentata, evitano la rotatoria di via Tresolzio, per cui imboccano via Giulio Terzi di Sant’Agata. La loro intenzione non è quella di andare troppo lontano, come non è quella di abusare della ragazzina in una zona all’aperto. Essi hanno una meta precisa che è il cantiere di Mapello, come  tutti e quattro i cani molecolari, ma soprattutto l’ultimo, hanno evidenziato. È nel cantiere che le cose precipitano poiché non hanno calcolato la reazione di Yara. Quando la ragazzina emerge dal fondo del sedile posteriore dove l’hanno costretta a stare, vede il coltello, si spaventa, è terrorizzata, si rannicchia su se stessa e comincia a difendersi con i piedi. L’altro, che era insieme a lei seduto sul divanetto, a sua volta reagisce e inizia a brandire il pugnale cercando di colpirla. La ferisce ai polsi e alle gambe, forse alla gola, ma egli stesso deve soccombere per la violenta reazione di Yara che riesce a tramortirlo con un colpo al viso per cui la sua azione offensiva  per un momento cessa. Yara cerca una via di fuga, si allunga, piega il busto, nel far questo il giubbino le si alza sulla vita, sta per uscire ma l’altro è più lesto e la ferisce ai lombi. Intanto, anche il complice ha ripreso il controllo della situazione e in qualche modo ferma la fuga di Yara: o con un oggetto contundente o colpendola violentemente con lo sportello. Yara a questo punto sviene.
I due sono presi dal panico. Decidono in fretta e in furia dove portarla. Si dirigono verso via Bedeschi. Non la lasciano nel cantiere. Ovunque sia stata colpita Yara essi non la lasciano lì ma la portano in via Bedeschi. Come mai?  Il luogo dell’aggressione potrebbe collegarli a loro. Non c’è altra spiegazione. O meglio ce ne sarebbe un’altra: Yara ha urlato e loro temono che qualcuno abbia potuto sentire e quindi aver avvisato  i carabinieri. Meglio sloggiare al più presto.
In via Bedeschi parcheggiano in una zona poco illuminata, prendono Yara per le gambe e le braccia. La reputano morta poiché non si muove più. La lasciano sul campo e vanno via. Il freddo intenso, lo strazio dei colpi, il tramortimento, uccidono Yara. Forse il gelo accelera la coagulazione del sangue per cui dalle ferite sgorga poco sangue. Nella lotta Yara ha perso il cellulare che forse in qualche modo si è aperto. Se questo fosse accaduto in una zona aperta non avrebbero potuto ritrovare la sim e la batteria. E comunque, se ciò fosse avvenuto nel campo di via Bedeschi perché prendersi al briga di riporre questi oggetti nello zainetto di Yara? Lo fanno perché la manovra dello smontaggio del telefonino, casuale o voluta, avviene sull’automezzo mentre questi  è in marcia, per cui per essere sicuri che nulla rimanga a bordo, ripongono il tutto nello zainetto. Se non ci sono impronte digitali sulla sim e sulla batteria perché dovremmo averli lasciati sui guanti? E se hanno riposto tutto nello zainetto perché i guanti li avrebbero messi nella tasca del giubbino? Non ha senso. I guanti li ha messi lì la stessa Yara. Per cui, ripeto, spero di sbagliarmi, quel dna non appartiene ai suoi aggressori.

I due aggressori sono alla loro prima esperienza. Sono giovani. L’uno più dell’altro se uno dei due potrebbe essere il dominate, colui che ha deciso tutto. Conoscono tutti i luoghi del dramma: la palestra, il cantiere e via Bedeschi. In questo momento sono molto nervosi, si sentono il fiato addosso, il loro aspetto è trascurato. Siccome le cose sono precipitate, il piano è saltato, per cui non sanno se qualche elemento potrebbe ricondurli a loro. Ecco la ragione del nervosismo.
Ripeto, non so quale valenza abbiano dato al dna ma se non vi è certezza che si tratti di quello degli aggressori, cercherei due uomini e non una coppia.
Non esiste nessuna pista satanica: i colpi a X sono stati inferti in modo casuale mentre Yara provava a scappare.